Strage Via D’Amelio, 4 nuovi arresti. “Borsellino era ostacolo per Riina”

di Redazione

Paolo BorsellinoCALTANISSETTA. Era ritenuto da Totò Riina un “ostacolo” alla trattativa tra Stato e Cosa nostra, che ormai sembra essere “su un binario morto” e quindi da “rivitalizzare” con la stagione delle stragi.

Questo il motivo per il quale, il 19 luglio del 1992, in Via D’Amelio, fu ucciso il giudice Paolo Borsellino, assieme a cinque agenti di polizia della sua scorta. E’ la ricostruzione dell’attentato fatta dal gip di Caltanissetta Alessandra Bonaventura Giunta, che ha accolto le richieste della Dda nella nuova inchiesta che è sfociata in quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite dalla Dia giovedì mattina sulla strage di via d’Amelio. Dei provvedimenti che scaturiscono dall’inchiesta aperta dalla Procura nissena sulle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, che ha portato alla revisione dei processi Borsellino e Borsellino-bis davanti la Corte d’appello di Catania.

Destinatari delle ordinanze, con l’accusa di strage aggravata, il boss Salvatore Madonia, uno dei presunti mandanti della strage, i due presunti esecutori, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale, e il “pentito” Calogero Pulci per calunnia aggravata per le sue false dichiarazioni del processo Borsellino-bis. Madonia e Tutino si trovavano già in carcere, mentre Vita ai domiciliari in una casa di cura dove è ricoverato per gravi patologie.

Lo stesso pentito Spatuzza è indagato, così come Madonia, Tutino e Vitale, per strage aggravata. Ma agli arrestati sono stati attribuiti anche altri reati, quali l’aver agevolato l’associazione mafiosa e avere agito anche per fini terroristici. Tutino è accusato di aver effettuato, assieme a Spatuzza, il furto della Fiat 126 da utilizzare per la strage. Avrebbe anche procurato due batterie e un’antenna, necessari per alimentare e collegare i dispositivi di innesco dell’esplosivo collocato nella Fiat 126 parcheggiata in via D’Amelio. Salvatore Vitale, già condannato per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, avrebbe procurato l’esplosivo i congegni elettronici per l’autobomba, e sarebbe stato la ‘talpa’ degli attentatori in via D’Amelio, dove abitava in un appartamento situato al piano terra dello stesso edificio in cui viveva Rita Borsellino, la sorella del magistrato. Da quella posizione “privilegiata”, Vitale secondo l’accusa, fornì supporto logistico per la preparazione della strage e informazioni indispensabili circa la presenza e le abitudini della famiglia, e soprattutto sulle visite che il giudice Borsellino faceva ai familiari in via D’Amelio. Vitale avrebbe inoltre messo a disposizione di Giuseppe Graviano il suo maneggio in contrada Regia Corte, dove Spatuzza ha riferito di aver consegnato allo stesso Graviano le targhe per la Fiat 126 imbottita di esplosivo.

Secondo le risultanze investigative, Borsellino il 28 giugno del 1992 era venuto a conoscenza della trattativa Stato-mafia. Da qui la decisione di Cosa nostra di accelerare l’esecuzione della strage. Una tesi che, secondo la Procura, è legittimata dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell’ordine ricevuto da Totò Riina di sospendere, nel giugno 1992, l’esecuzione dell’attentato nei confronti dell’ex ministro democristiano Calogero Mannino perché c’era “una cosa più urgente da risolvere”.

Lo scorso3 febbraioil colonnello Umberto Sinico – ascoltato in aula per il processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano – raccontò che Borsellino, dopo l’attentato a Giovanni Falcone, sapeva di dover morire, ma andò incontro al suo destino, scegliendo di sacrificarsi, per evitare ritorsioni contro la sua famiglia.

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