Sanremo, Celentano attacca i preti e la Consulta

di Redazione

Adriano Celentano SANREMO. Alle 22.20 di martedì seraAdriano Celentano sale sul palco dell’Ariston di Sanremo, in mezzo all’annunciato scenario apocalittico: bombe, esplosioni di cannone, finti morti e feriti.

Ma le “bombe” (poco “esplosive” in realtà) arrivano soprattutto quando inizia a parlare. Un lungo intervento, con toni da “profeta”, in cui tocca tanti argomenti, anche in maniera confusa, che farà comunque discutere. Il “Molleggiato” parte subito all’attacco e il suo bersaglio sono i preti e i frati che non parlano di cosa c’è dopo la morte. “Se c’è una cosa che non sopporto nei preti – dice – è che quando fanno la predica non parlano mai della cosa più importante e cioè del motivo per cui siamo nati”.

Definisce “inutili e ipocrite”, e da “chiudere”, i giornali ecclesiastici come “Avvenire” e “Famiglia Cristiana”. “Certe testate – sostiene il cantante-attore milanese – dovrebbero parlare del Paradiso e consolare i malati invece fanno politica”. “Sono ipocrite le critiche a uno come don Gallo che ha dedicato la sua vita per aiutare gli ultimi”, afferma Celentano, riferendosi al sacerdote di strada che a Genova, alle primarie del centrosinistra, ha contribuito alla vittoria dell’outsider di Sel, Doria, e alla sconfitta dei candidati del Pd.

Poi parla degli operai “Wagon lits”, che protestano sulla torre della stazione di Milano.E si rivolge a Montezemolo: “Montezemolo ha fatto bene a fare il treno veloce, bello e confortevole. Ma bisogna bilanciare la velocità con qualcosa di lento e allora ti invito, Montezemolo, a farne uno lento che faccia vedere le bellezze dell’Italia. Perché c’è gente che vuole andare lento. Sono sicuro che lo farà”. Sul palco sale “L’Italia”, rappresentata da Elisabetta Canalis (a questo punto è proprio il caso di dire “povera Italia”). “Resta qui”, le chiede Celentano. “Non posso, le cose non vanno bene e io sto perdendo la mia bellezza”, risponde. “Tornerai?”. “Sì, se gli italiani lo vorranno”. Tra un brano e un monologo, condito da populismo, retorica e frasi fatte, buone per tutte le stagioni, arriva l’attacco alla Consulta “che non ha preso in considerazione un milione e duecentomila firme per il referendum”. Celentano polemizza sul fatto che “il popolo non è più sovrano”.

In scena entrano Pupo, a fare da contraltare, e Gianni Morandi, ad appoggiarlo. Partecipa alla scena teatrale anche Rocco Papaleo. Nell’ora di spettacolo, ovviamente, non manca la frecciata alla dg della Rai, Lorenza Lei, rea di aver allontanato Michele Santoro. Ed entra anche un insulto totalmente gratuito al critico del Corriere della Sera Aldo Grasso, definito “un deficiente”.

Dopo aver trattato temi sul Paradiso e l’aldilà, nel “sermone” anche un’analisi sulla situazione europea, con tanto di brano “politico”. Celentano chiude con un brano in cui partecipa, ma solo con la voce fuori campo, Franco Battiato. Nonostante le ovvietà trattate e le “opinioni” (chiamiamole così…) da lui espresse, voleranno repliche e fiumi di inchiostro.

Alla fine il pubblico dell’Ariston, in piedi, gli tributa un lungo applauso. E Sanremo, intanto, tutto pare tranne che un festival musicale.

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