Berlusconi “salvato” dai Radicali. Ora avanti col Decreto Sviluppo

di Mena Grimaldi

Silvio Berlusconi ROMA. Silvio Berlusconi ha ottenuto la fiducia e si proietta a governare fino al 2013. “Anche questo agguato fallirà”, aveva detto il premier poco prima della votazione.

“L’importante – ha aggiunto – è che vinciamo sulla sinistra che ha inscenato questa farsa delle assenze”. Ma tanti sono stati i momenti clou della lunga mattinata al Transatlantico. Il volto teso del Cavaliere mentre si contavano gli assenti, con il timore che non si raggiungesse il numero legale, gli screzi nella maggioranza per il mancato voto di Luciano Sardelli, il sorriso di Scilipoti, le lunghe chiacchierate di Scajola con gli altri deputati e l’applauso ironico del Pdl a Dario Franceschini nel momento in cui il presidente dei deputati del Pd passa davanti al banco della presidenza per esprimere il proprio voto contrario alla fiducia.

Dopo ore di frenesia e dubbi sul raggiungimento della maggioranza assoluta e del numero legale, alla fine della prima chiama si era già avuta la certezza della soglia che rende valido il voto. Il vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, ha annunciato, infatti, che i sì erano stati 315, quelli contrari 7. Santo Versace non ha partecipato al voto, così come l’ex sindaco di Padova, Giustina Mestrello. Ad astenersi anche Fabio Gava, deputato considerato vicino a Scajola. “Potrebbero esserci sorprese”, aveva detto prima del voto Pippo Gianni, deputato dei Responsabili, confermando il clima di incertezza. Mentre il suo collega Sardelli non ha votato la fiducia e ha commentato: “Il premier non ha i numeri. Gli ho suggerito di andare al Colle inaugurando così una nuova fase”.

Ma nell’occhio del ciclone ci sono i cinque Radicali che, contrariamente al resto dell’opposizione, hanno votato contribuendo al raggiungimento del numero legale. “I radicali stanno entrando”, grida qualcuno tra il chiasso delle decine di deputati dell’opposizione che affollano il Transatlantico. La pattuglia dei cinque eletti nelle liste del Pd si infila nel corridoio e di corsa sale le scale per l’ingresso laterale dell’aula di Montecitorio.Roberto Rao dell’Udc è tra quelli “pronti a scattare”e prova a inseguire Matteo Mecacci per fermarlo, per far rispettare la decisione delle opposizioni di non rispondere alla prima chiama. Niente da fare.Fra tre dei cinque radicali e alcuni deputati del Pd ci sono stati momenti di tensione. Dalle tribune si è assistito a un duro battibecco tra Maria Antonietta Coscioni, Maurizio Turco e Marco Beltrandi e, per il Pd, Giovanna Melandri e Rosa Calipari. I toni si sono alzati parecchio fino a quando Rolando Nannicini ha chiesto di smetterla. Già ieri la decisione dei cinque di ascoltare le dichiarazioni di Berlusconi aveva fatto salire la tensione tra i Radicali e il Pd.

“Il governo non c’è più: non ha una maggioranza politica, ma solo numerica ed è dovuta al fatto che i radicali hanno cercato la loro visibilità”, ha detto il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro: “I Radicali – ha aggiunto l’ex pm – dimenticano che ci sono momenti topici in cui ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Li rispetto ma non condivido il loro comportamento”. “Questo governo morirà di fiducia”, ha commentato, invece, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani.

Protagonista della giornata è stato senz’altro il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, al quale il premier aveva affidato le sorti della maggioranza e la gestione dei malumori affinché non si tramutassero in una sorpresa negativa durante il voto. “Abbiamo la maggioranza assoluta in Parlamento. – ha detto Verdini – Ci sono stati due assenti che non hanno potuto votare e una persona in carcere. Abbiamo la fiducia e questo dimostra che l’episodio della scorsa settimana è stato uno scivolone. Adesso dobbiamo lavorare”. Ora per il governo Berlusconi il primo banco di prova sarà il Decreto Sviluppo, non certo facile viste le posizioni divergenti di Tremonti.

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