I Giovani Democratici per la chiusura dell’Opg di Aversa

di Redazione

Opg AversaAVERSA. L’uomo vive di speranze e di sogni e l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa rappresenta il luogo dove la condizione umana viene indelebilmente mortificata, dove la speranza e il sogno lasciano spazio alla disperazione e alla rassegnazione.

Dovrebbe essere una struttura di recupero, d’integrazione, dove curare è il rimedio, dove non esistono pene, perché i colpevoli sono tali soltanto ed esclusivamente perché malati. Invece, quando quest’anno un’ispezione condotta dalla Commissione di inchiesta del Senato, presieduta da Ignazio Marino, ha abbattuto i cancelli dell’OPG, che impedivano lo sguardo all’interno, lo scenario che si è presentato agli occhi degli ispettori era quello di una realtà di un indicibile orrore ,l’inferno dei dimenticati.
Un deposito dove la merce ristagna, dove le menti si abbrutiscono, dove gli istinti prevalgono, dove regna l’abbandono, la tortura, la mortificazione morale e fisica. Per queste persone ogni giorno di “detenzione” rappresenta un passo indietro, rimanere significa regredire, avvicinarsi al baratro buio del non ritorno.
A 250 anni dalla pubblicazione del fortunato “Libriccino” del Beccaria, in Italia esiste ancora la tortura, vengono perpetrati reati, di responsabilità internazionale, contro la dignità dell’uomo e contro i suoi diritti fondamentali, la cui tutela può e deve prescindere da qualsiasi condizione coercitiva. Se è vero che la malattia rappresenta la causa principale del crimine allora la soluzione risiede nella cura della patologia; e se la malattia mentale è perdita d’individualità e di libertà, un internato in questo “ospedale” giudiziario non trova che il luogo dove tale individualità sarà definitivamente perduta e resa oggetto della malattia stessa. In quel documento video girato durante l’ispezione compiuta dalla Commissione d’inchiesta del Senato presieduta da Ignazio Marino, l’annientamento dell’individualità del detenuto appare lampante.
Le grida disperate d’aiuto, le celle sovraffollate, l’assenza di un personale medico- sanitario adeguato, le precarie condizioni igienico-sanitarie e strutturali non lasciano spazio al dubbio. Tutto è tranne che una struttura ospedaliera votata al recupero e all’integrazione sociale di malati mentali che hanno commesso reati. Reati il più delle volte considerati “bagatellari”, di poco conto, che in condizioni normali verrebbero puniti con pochi anni (o addirittura mesi) di detenzione ed invece per le persone deboli o malate si traducono, di proroga in proroga, in quelli che vengono tristemente definiti “ergastoli bianchi”.
In attesa di un intervento serio e insperato da parte della politica e delle istituzioni in difesa dei diritti civili , calpestati quotidianamente all’ombra di queste fetide sbarre, molti degli “internati” preferiscono il suicidio, sicuri che l’esistenza sia diventata ormai un incubo che non contempla risveglio.
La nostra speranza è che si realizzi un rapido percorso di chiusura e dimissione della struttura, per ridare dignità al più grande dei valori: la tutela e il rispetto della vita umana. Intanto risuona ossessiva nella mente la eco dei lamenti di uno di quei detenuti che rivolgendosi alle telecamere,mentre in preda alla disperazione chiedeva di essere liberato, urlava: “dov’è l’Italia?”. Dov’è l’Italia della democrazia, l’Italia, patria dei diritti e delle garanzie, dov’è l’Italia dell’umanità?
Francesca Curci e Giovanni Sposito
Esecutivo provinciale Giovani Democratici di Caserta
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