Melania, il mistero del cellulare

di Emma Zampella

Giovanni Parolisi e Melania ReaASCOLI. Il delitto di Melania Rea è ancora avvolto nel mistero: stamane sono stati condotti ulteriori accertamenti sul corpo della vittima che hanno appurato la presenza sul corpo di colpi inflitti post mortem.

Una tesi che rimarca il fatto che l’assassino abbia agito in due lassi temporali differenti. L’esame autoptico sul corpo di Melania è stato condotto dall’anatomopatologo Adriano Tagliabracci, insieme al quale sono entrati nell’obitorio dell’ospedale Mazzini di Teramo due ufficiali dei Ris. A loro in seguito si è aggiunto il pm di Ascoli Piceno, Umberto Monti, accompagnato da alcuni ufficiali di polizia giudiziaria marchigiani. Fuori dall’obitorio si sono riuniti il fratello di Melania, Michele Rea, e uno zio della donna, che non hanno rilasciato dichiarazioni. Al termine dell’esame, Monti si è limitato a negare la presenza di nuovi elementi, affermando che “sono stati compiuti ulteriori accertamenti i cui risultati saranno noti nei prossimi giorni”. Il magistrato ha poi confermato la concessione del nulla osta per la sepoltura. L’assassino ha agito in due tempi, ritornando quindi sul luogo del delitto? Dagli esami è emerso infatti che 9 delle 32 coltellate siano state inflitte dopo il decesso della donna, in quanto solo le prime 23 ne hanno provocato la morte. Ma allo stesso tempo però gli inquirenti non sono ancora in grado di stabilire l’arco di tempo trascorso tra il decesso della donna e le successive coltellate.

Il lasso di tempo, valutato fra un minimo di due ore e un massimo di 15-20, non è utile alle indagini e dunque potrebbe essere necessario sottoporre il cadavere a ulteriori verifiche per assottigliare questo spazio temporale. Perché tanto accanimento sul corpo già agonizzante di Melania? Chi è il suo assassinio? Perché ha voluto ucciderla? A tutti questi interrogativi gli inquirenti lavorano ogni giorno per dare risposta. All’accanimento sul corpo di Melania si potrebbe rispondere affermando che il tutto sia frutto di un tentativo dell’omicida di depistare le indagini come dimostrano anche il ritrovamento della siringa infilzata sotto un seno, il laccio emostatico e gli aghi di siringa trovati accanto al corpo. A testimonianza della tesi che vorrebbe il killer due volte sul luogo del delitto lo dimostrano i diversi tempi di coagulazione del sangue, per metter su una messinscena: in tal senso la svastica sulla coscia, la siringa piantata nel seno, e alcuni tagli su braccia e gambe. Il tutto, forse, proprio mentre gli investigatori setacciavano Colle San Marco. Gli inquirenti hanno però precisato che sul presunto luogo del delitto della mamma 29enne è stata ritrovata la fede di fidanzamento della donna: come mai è stata rinvenuta solo adesso? Secondo una prima ricostruzione la donna potrebbe averlo perso nel corso di una colluttazione, o potrebbe averlo lanciato contro il marito nel corso di una lite: ma il bosco non era stato passato già al setaccio diverse volte? Un delitto intriso di misteri, un continuo rompicapo a cui gli inquirenti non riescono a dare una giusta risoluzione.

Altro elemento interessante emerso in questi giorni dalle indagini è legato al cellulare della vittima, ritrovato ancora accesso due giorni dopo la scomparsa di Melania. La batteria del cellulare, in quasi due giorni, avrebbe dovuto scaricarsi e, invece, la mattina del mercoledì, giorno in cui la donna è poi stata trovata morta, era di nuovo attiva. L’ipotesi, quindi, è che il cellulare possa essere stato spento dall’assassino, che potrebbe aver tolto la batteria e poi averla rimessa il mercoledì mattina. Il cellulare della donna ha squillato fino alle 19 del 18 aprile, giorno in cui Melania è scomparsa dal pianoro di Colle San Marco di Ascoli Piceno, secondo la versione del marito Salvatore Parolisi, con cui stava trascorrendo qualche ora all’aperto insieme alla loro bambina di 18 mesi. Dopo le 19, il cellulare di Melania non ha più squillato alle numerose chiamate di chi la stava cercando, la maggior parte della famiglia preoccupatissima, ma ha ripreso a farlo un giorno e mezzo dopo, la mattina del 20 aprile, in quel mercoledì in cui, nel pomeriggio, è stata ritrovata senza vita. Si pensa quindi che l’assassino possa averlo staccato e poi riacceso, reinserendo la batteria due giorni dopo. Un killer che ha colpito due volte? Un assassino che ha calcato male i suoi tempi, tralasciando qualche piccolo particolare?

Al momento le indagini procedono senza un indagato, anche se i dubbi e le ombre che ruotano attorno a Salvatore Parolisi, marito della vittima, sono tantissime. Così come le sue contraddizioni, in cui l’uomo cade ogni qual volta viene sentito dagli inquirenti. Oggi il caporalmaggiore Parolisi non sarà ascoltato dagli inquirenti, ma bastano le dichiarazioni precedenti a renderlo misterioso. A Parolisi ieri gli inquirenti avrebbero sequestrato gli abiti e le scarpe che probabilmente indossava il 18 aprile nella zona interessata. Sentito per molte ore, come persona informata sui fatti, Parolisi ha descritto bene agli inquirenti il luogo del ritrovamento del cadavere. Sospettosi, però, i magistrati gli hanno allora chiesto come mai conoscesse così bene il luogo visto che non ci è mai stato. La risposta di Parolisi è stata pronta: “Ho visto le foto scattate dal mio amico Raffaele Peciolla. Peccato però che l’avvocato di Peciolla lo ha prontamente smentito: “Il mio assistito non ha mai scattato foto sul luogo del delitto, il suo cellulare è a disposizione degli inquirenti”. Nonostante le ombre, Parolisi resta parte offesa nel procedimento per l’omicidio della moglie Melania, e non è indagato. Altra macchia cade sull’alibi che Salvatore si sia costruito: stando a quanto dichiarato agli inquirenti, il caporalmaggiore la notte del 18 aprile l’avrebbe trascorsa a casa del suo amico Raffaele Paciolla il 18 aprile, il giorno della scomparsa di Melania. Ma ora gli investigatori hanno scoperto che il marito di Melania ha dormito a casa dell’amico Raffaele la notte tra il 20 e il 21 aprile. E non il 18. Lo ha reso noto il legale di Paciolla. Non si sa se è da collegare a questa scoperta il fatto che, ieri, attorno alle 16,30, Salvatore Parolisi è entrato nella caserma dei carabinieri di Somma Vesuviana. Ufficialmente convocato per una notifica degli atti.

Anche la confessione della sua relazione extraconiugale non addolcisce la posizione del caporalmaggiore: l’amante di Salvatore, è una sua ex allieva, Ludovica – anche se in un primo momento era circolato il nome di Francesca – ha 27 anni ed è di Sabaudia, grado di caporale. La donna ha raccontato dei rapporti con il suo istruttore, il caporalmaggiore Parolisi, ai carabinieri e quello che emerge non certo una “storiella”, ma una vera e propria relazione, durata 2 anni, che resiste anche al trasferimento di lei a Roma. L’ultima volta, i due si sarebbero visti a gennaio scorso, mentre l’ultima volta che si sarebbero sentiti lo scorso primo maggio: lei avrebbe chiamato il suo istruttore che avrebbe però rifiutato la chiamata al cellulare, richiamandola poi da un telefono pubblico. Come mai questo strano movimento? Ludovica agli inquirenti ha spiegato anche che Melania sapeva tutto. Confermando che Carmela ha telefonato almeno due volte all’amante del marito. “Non voleva perderlo” raccontato il caporale, aggiungendo “Mi ha anche telefonato urlandomi di lasciarlo in pace”. L’allieva continua a confessare il suo vero amore per il suo istruttore: “Io e Salvatore non ci siamo mai lasciati, ci amiamo veramente”, ammettendo che con lui si sono sentiti al telefono anche il 17 aprile, il giorno prima della scomparsa di Melania.

“Coglievamo ogni occasione per vederci in alberghi e pensioni al confine tra Marche e Abruzzo; ma ogni posto era buono per il nostro amore”. Questo giustificherebbe le tracce di sangue trovate nella Renault del caporal maggiore, che la Sezione investigazione scientifiche di Teramo ha scoperto appartenere alla soldatessa: i due avrebbero fatto sesso in quell’auto. “Mi giurò – racconta la soldatessa – che era pronto a lasciare sua moglie per me; ma tutto questo non c’entra con ma morte di Carmela”. Sull’arma del delitto, che gli inquirenti ipotizzano essere un coltellino che i soldati usano regalare all’istruttore alla fine del corso, lei è netta: “Ho sentito dire che gli avrei regalato un coltellino con inciso il suo nome, ma non è vero”.L’alibi di Ludovica, peraltro, è di ferro: il 18 aprile, il giorno della scomparsa di Carmela, era in caserma.

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