Usura, restano in carcere l’ex sindaco Corvino e gli altri indagati

di Redazione

Antonio IovineCASALE. Il tribunale di Napoli ha confermato i decreti di fermo, eseguiti lo scorso 18 aprile nei confronti dell’ex sindaco Vincenzo Corvino e di altre quattro persone ritenute legate al boss Antonio Iovine, alias “’O Ninno”, arrestato nel novembre 2010 dopo 15 anni di latitanza.

I provvedimenti, notificati in carcere agli indagati, riguardano i reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione, usura, violenza privata aggravati dal metodo mafioso.

Tre degli arrestati fanno parte della rete di favoreggiatori che hanno gestito la latitanza del boss, attraverso la messa a disposizione di autovetture per gli spostamenti, immobili per le riunioni fra affiliati e con gli imprenditori estorti, ed ogni ulteriore mezzo di sostegno. Fra loro Biagio Diana, 46 anni, ritenuto uno dei più fidati uomini di Iovine e cognato di Marco Borrata, arrestato il 17 novembre insieme al boss e già condannato in primo grado per avere ospitato “’O Ninno” negli ultimi giorni prima del suo arresto.

Destinatari del provvedimento anche il dentista Vincenzo Corvino, 57 anni, sindaco di Casal di Principe, per un breve periodo dal 1995 al 1996, quando il Comune fu sciolto per infiltrazioni camorristiche; ed un odontotecnico, Antonio De Fatico, nativo di San Marcellino, 45 anni, che lavorava con lui. Entrambi sono accusati di usura ed estorsione nei confronti di un altro odontotecnico dello studio. Gli altri sono Antonio Cioffo, 46 anni, e Camillo Diana, 37 anni, mentre un altro indagato raggiunto da provvedimento di fermo, Antonio Cecoro, 37 anni, è irreperibile.

LA DENUNCIA DELL’ODONTOTECNICO. Corvino, dopo la breve esperienza di primo cittadino, si era ricandidato nel 2003 alle comunali nella lista di Forza Italia, in appoggio alla coalizione Goglia, risultando primo dei non eletti ma entrando comunque in Consiglio dopo la nomina ad assessori di consiglieri eletti. E’ anche dirigente Asl nel distretto sanitario di San Cipriano. Secondo l’accusa, il dentista avrebbe prestato 30mila euro a un suo odontotecnico chiedendo un tasso di usura di circa l’84% annuo. La vittima dell’usura era stata costretta a cedere al dentista fino a 70mila euro e a subire il tentativo di estorsione di un terreno, oltre a consegnare la propria carta d’identità che avrebbe dovuto essere utilizzata dal bossIovine per eludere eventuali controlli. I fatti si riferiscono al periodo compreso tra il 2002 e il 2005; i pm hanno calcolato che il tasso di interesse imposto all’odontotecnico fu dell’84% annuo, almeno quattro volte superiore a qualsiasi tasso di riferimento delle tabelle ministeriali del tempo. Ma Corvino avrebbe avuto un ruolo, in concorso con Antonio Iovine e altri due indagati, anche in un altro episodio di usura ed estorsione; in questo caso il prestito venne fatto allo stesso Antonio De Fatico, altro odontotecnico e collaboratore dell’ex sindaco.I quattro avrebbero tentato di togliere alla vittima un terreno a Frignano (Caserta) dal valore di un milione di euro e lo avrebbero costretto a pagare prima 80mila, poi 150mila euro, facendogli inoltre sottoscrivere 50 cambiali in bianco.

GLI INCONTRI COL BOSS. Disperato per le continue somme di denaro che Corvino e De Fatico gli chiedevano in cambio dei prestiti che gli avevano concesso, l’odontotecnico inviò un biglietto al boss Antonio Iovine, all’epoca latitante e ricercatissimo dalle forze di polizia. La vittima, che lo aveva conosciuto anni prima quando aveva realizzato per lui alcune protesi dentarie, gli chiedeva aiuto; ma Iovine, che lo fece prelevare più volte per incontrarlo in una villa, per estinguere il debito da lui contratto con Corvino e De Fatico, gli chiese all’inizio 100.000 euro; l’odontotecnico ne racimolò 80.000, ma il boss latitante li giudicò insufficienti: ”Mi disse che per saldare il debito complessivo nei confronti di Corvino e De Fatico non erano sufficienti gli 80.000 euro e che anzi era necessario che io ne pagassi altri 150.000, che potevo rateizzare in tre – quattro anni. Dissi che non ero in condizione di pagare quella cifra ma egli insistette e non mi lasciò scelta, concedendomi solo di firmare delle cambiali, che avrei dovuto acquistare (e così feci). Durante l’incontro, Iovine si mostrò a conoscenza del fatto che mio padre aveva in vendita un appezzamento di terreno e che lui era interessato a fare una certa operazione con alcuni suoi amici imprenditori. A sua richiesta gli risposi che mio padre stava trattando la vendita del terreno per la somma di un milione di euro e Iovine mi replicò dicendo che se la trattativa fosse stata conclusa con lui poteva pagarlo al massimo 600-700 mila euro oppure permutarlo con beni da stabilire. Segnalai che il terreno si trovava in zona agricola o comunque sottoposta a vincolo comunale e non era possibile costruire, ma lo Iovine mi disse che avrebbe potuto lui facilmente provvedere a fare cambiare quella destinazione d’uso e rendere il terreno edificabile”. Tramite alcune persone a lui vicine, inoltre, il boss dei Casalesi impose all’odontotecnico di consegnargli la carta d’identità, della quale aveva intenzione di servirsi per mostrare un documento falso in caso di controlli.

Di rilievo il fatto che, al momento dell’arresto, Antonio Iovine aveva con sè dei “pizzini”, uno dei quali faceva inequivoco riferimento ad un appuntamento per il giorno dopo con Corvino.

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