Caporalato in Calabria, algerino arrestato a Casal di Principe

di Redazione

Aissa BendisCASAL DI PRINCIPE. Operazione congiunta della polizia di Caserta e Reggio Calabria che ha portato all’arresto, a Casal di Principe, dell’algerino Aissa Bensid, 40 anni, residente a Rosarno, nel reggino.

L’extracomunitario, in occasione dell’incidente probatorio a seguito dell’operazione “Migrantes”, celebratosi al tribunale di Palmi lo scorso 15 marzo, si sarebbe recato nell’abitazione di un altro extracomunitario testimone del processo, costringendolo, dietro minaccia, a ritrattare l’illecita attività di “caporalato” e di favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina posta in essere dallo stesso Bensid, e inducendolo così a commettere i delitti di falsa testimonianza e calunnia e altri delitti contro l’amministrazione della Giustizia. Le indagini immediatamente avviate dal commissariato di pubblica sicurezza di Gioia Tauro e dalla squadra mobile di Reggio Calabria accertavano che Bensid si era trasferito da Rosarno in provincia di Caserta, nel comprensorio di Casal di Principe, dove nel pomeriggio del 10 maggio, a seguito di pazienti indagini, veniva rintracciato e catturato da personale della squadra mobile di Caserta.

Bensid, dallo scorso 26 aprile, era destinatario di misura coercitiva nell’ambito dell’operazione “Migrantes” svolta congiuntamente dalla squadra mobile di Reggio Calabria e da personale del commissariato di polizia di Gioia Tauro nonché dalle altre forze di polizia, carabinieri e guardia di finanza, sul triste fenomeno del cosiddetto “caporalato”, manifestazione evidente dello sfruttamento di manovalanza, per lo più agricola, con metodi di arcaica sottomissione dei lavoratori alle volontà dei loro capi, in spregio di ogni basilare norma sulla regolamentazione delle prestazioni lavorative esistente nelle moderne società.

Le attività investigative, coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi nella persona del procuratore capo Giuseppe Creazzo e dai sostituti Andrea Papalia e Stefano Musolino, con il supporto di intercettazioni telefoniche, venivano avviate parallelamente a quelle sui gravi disordini che si sono verificati a Rosarno nel gennaio 2010, quando, a seguito del ferimento di un cittadino extracomunitario originario del Togo, Ayiva Saibou Sabitiou, colpito nella zona inguinale da un pallino sparato da un’arma ad aria compressa, la folta comunità di africani, impiegata saltuariamente nelle campagne della Piana per la raccolta di agrumi e mandarini, inscenava una vibrante manifestazione di protesta che, nel giro di poche ore, si trasformava in una vera e propria rivolta contro la popolazione locale.

Era stato possibile individuare una serie di condotte, poste in essere da diversi soggetti, tra italiani e stranieri nordafricani, che avevano confermato come, alla base delle proteste e degli episodi di violenza sopra descritti vi fossero le condizioni di assoluta subordinazione in cui versavano i “migrantes”, finiti nelle mani di persone che, sotto gravi minacce di ritorsioni, imponevano opprimenti ed inique condizioni lavorative. Infatti, dal 1990 in poi, nella Piana di Gioia Tauro, si è registrato un flusso sempre più consistente di lavoratori extracomunitari, tutti di colore provenienti dai paesi africani, il cui arrivo, per la maggior parte di loro, inizia già dalla fine del mese di ottobre e si protrae sino alla fine del mese di febbraio, registrando poche presenze nel successivo mese di marzo, al termine della definitiva raccolta degli agrumi.

Tuttavia, solo a seguito di una mirata attività investigativa, iniziata con l’escussione a sommarie informazioni di alcuni cittadini extracomunitari trasferiti nei centri di accoglienza di Bari e di Crotone, era stato possibile smascherare i caporali: infatti, si erano rivelate di sicura valenza investigativa e probatoria le dichiarazioni raccolte da diversi extracomunitari, i quali avevano vinto quella “paura” con la quale sino a quel momento erano stati soggiogati, rendendo ampie dichiarazioni sulle modalità del loro sfruttamento e sui soggetti attivi di tale grave delitto.

Secondo quanto era stato appreso dalla loro triste esperienza di lavoratori sfruttati e sottopagati, era stato possibile individuare il “caporale” in colui che prima dell’alba si recava nelle piazze dei paesi o nelle periferie delle grandi città per cercare manodopera giornaliera, solitamente non specializzata, e condurla, a bordo di camion o di altri mezzi di fortuna, nei campi a lavorare la terra o raccogliere i prodotti agricoli. Per l’espletamento di tale “servizio” i caporali imponevano una percentuale detratta dalla paga giornaliera dovuta a questi lavoratori che era già molto al di sotto del minimo sindacale; in tali casi, inoltre, si verificavano sistematiche gravi violazioni dei requisiti di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, nonché della disciplina in materia di orario di lavoro e di riposo settimanale. I caporali, infatti, si presentavano come dei veri e propri “padroni senza legge”, dietro i quali vi erano imprenditori dell’agricoltura di piccoli e grandi appezzamenti terrieri che, dovendo assumere personale stagionale per la raccolta nei campi, preferendo scegliere la “scorciatoia” del caporale che, spesso, è un soggetto di nazionalità straniera che proviene dalla stessa area geografica delle persone sfruttate. La paga variava in base alle imposizioni dell’intermediario ed oscillava dai 25 euro al giorno, ad 1 euro a cassetta per i mandarini e 50 centesimi a cassetta per le arance. Dalla cifra complessiva bisognava detrarre 3 euro a titolo di spesa per il trasporto che venivano trattenute dal caporale.

Tutto ciò veniva riscontrato nel corso dell’attività tecnica, al termine della quale le dichiarazioni rese dagli stranieri, unitamente alle positive risultanze dei servizi di riscontro sul territorio, determinavano l’emissione di 31 provvedimenti restrittivi della libertà personale, emessi dal gip presso il Tribunale di Palmi per violazione sulla legge sull’immigrazione relativi, rispettivamente, ai reati di favoreggiamento della permanenza di stranieri clandestini nel territorio dello Stato al fine trarne un ingiusto profitto – condotta contestata ai caporali stranieri intermediari – e di occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno.

Per tutti gli indagati in ordine ai quali erano emersi rapporti tra loro, la magistratura aveva contestato loro anche l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti in materia di immigrazione clandestina, in violazione della normativa previdenziale e di tutela dei lavoratori subordinati e di truffa aggravata ai danni di enti pubblici.Bensid era stato indicato come uno dei caporali stranieri.

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