Camorra, 10 fermi per estorsioni e usura in riviera romagnola

di Redazione

 NAPOLI.Un altro colpo, dopo quello di lunedì a Modena, alle “cellule” della camorra campana nel Nord Italia.

Sempre in Emilia Romagna i carabinieri hanno eseguito 10 decreti di fermo a carico di persone accusate di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Si tratta di un gruppo criminale, collegato alla camorra napoletana e attivo sulla riviera romagnola, che avrebbe compiuto estorsioni e fatto prestiti a tassi usurari ai danni di numerosi imprenditori locali.

I provvedimenti, firmati dalla procura antimafia di Bologna,si sarebbero resi necessari proprio per lo “stato di pericolo” in cui si sarebbero venute a trovare alcune delle vittime per il loro rifiuto a sottostare alle richieste estorsive. Nei loro confronti, infatti, sarebbero statepianificate violente ritorsioni.

E, forse per la prima volta in Emilia-Romagna, le vittime non sono imprenditori originari delle aree di provenienza dei clan poi trapiantati al nord, ma sono della zona: ad essere presi di mira erano imprenditori della Romagna.

Gli arrestati appartengono a tre diversi clan campani che si erano saldati in Romagna, appunto, per compiere estorsioni tra Rimini, Riccione e San Marino, e fare prestiti a tassi usurari ai danni di numerosi imprenditori locali. Per svolgere la loro attività i clan avevano esportato anche i metodi: i pestaggi innanzitutto. Ad esempio per convincere pienamente un imprenditore a pagare, lo hanno portato in un capannone ad assistere al pestaggio di un’altra persona – un usuraio vittima di estorsione – entrata nel mirino dei campani. In un’altra occasione, sempre per essere convincenti, hanno minacciato il rapimento del figlio. “La capacità di intimidazione è forte anche in aree diverse da quelle di origine”, hanno spiegato i militari del Ros.

In pratica – secondo le indagini coordinate dal Pm della Dda Enrico Cieri – si sono saldate le attività di tre clan diversi: quello dei Vallefuoco, quello dei Mariniello di Acerra, e quello dei Casalesi, frazione Schiavone. I tre gruppi criminali si sarebbero fronteggiati minacciando il ricorso alle armi, ma i capi campani avrebbero raggiunto accordi pacificatori per la ripartizione a tre dei proventi delle estorsioni in Romagna.

“La zona è terreno di conquista per le attività di estorsione dei clan campani”, sostiene il procuratore capo di Bologna e vertice della Dda, Roberto Alfonso. “L’inchiesta ha confermato il tentativo di infiltrazione in regione della criminalità organizzata di diverse zone del sud”. Nessuno degli imprenditori taglieggiati (e sarebbero nell’ordine di decine) aveva presentato denuncia. Sono stati i carabinieri del Ros, che indagavano dal 2008 sui campani, ad accorgersi di quello che stava accadendo. Sono stati messi davanti al fatto compiuto e loro hanno confermato.

Gli uomini dei clan avrebbero agito più o meno nello stesso modo: avvicinavano imprenditori che sapevano con qualche difficoltà economica ma che avevano dei crediti da recuperare. Riuscivano a farsi affidare il recupero dei crediti, ma alla fine esigevano più denaro dell’ammontare del credito recuperato. Così facevano entrare l’imprenditore in un giro vizioso con l’obiettivo finale di farsi cedere l’attività, anche per lavare denaro sporco. Per compiere questa operazione c’era sempre un emissario del clan che diventava inizialmente amico dell’imprenditore e anche della sua famiglia (in alcuni casi le rispettive mogli andavano a fare shopping insieme). Lo portava a cena fuori, offrendo lui. Poi gli faceva da consulente e finto mediatore con i clan nelle fasi dell’estorsione.

In particolare a essere stati presi di mira dai camorristi sono stati un imprenditore edile con società a San Marino e la moglie titolare di una boutique a Riccione e un altro imprenditore, del settore abbigliamento, di Rimini. La coppia avrebbe ceduto tra beni e denaro circa 200 mila euro.

Secondo gli investigatori gli indagati erano in procinto di costringere le vittime a cedere imprese ed immobili e imporre la forzata sottoscrizione di una polizia vita, il cui premio sarebbe stato poi incassato dai camorristi in caso di morte. Nel quadro si inserisce anche una finanziaria, la Fincapital di San Marino, che interagiva anche con il clan dei Vallefuoco. E che nell’estate scorsa è diventata oggetto di interesse pure dei Casalesi, che però non sono riusciti a rilevarla perché le autorità sammarinese l’hanno commissariata.

Lunedì sono state cinque le persone arrestate dalla polizia di Modena, ritenute collegate al clan dei Casalesi. L’operazione, denominata”Pressing II”, rappresenta la seconda tranche di un’indagine avviataal termine del 2008 echeil 18 marzo 2010 portò all’esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare per estorsione aggravata dalla partecipazione ad associazione di stampo camorristico. Dall’indagine è scaturito che i cinque indagati, tra cui un professionista incensurato del modenese, misero in atto, ognuno con ruoli distinti, un tentativo di estorsione con lesioni consumato a Modena il 16 marzo del 2010 a danno di un imprenditore. L’estorsione non fu poi consumata perché il 18 marzo successivo, fu applicata una misura cautelare a due deicinque indagati. Gli indagati, spiega la polizia, avrebbero ricorso “alla forza intimidatrice che derivava dalla loro appartenenza o vicinanza al clan dei Casalesi, tale da indurre le vittime ad una condizione di assoggettamento ed omertà o, comunque, nel consumare i delitti hanno utilizzato metodi mafiosi”.

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