Tentato omicidio Schiavo: Fondino condannato a 21 anni

di Redazione

Giovanni FondinoFerdinando SchiavoGRICIGNANO. Il pm Lucchetta aveva chiesto 16 anni, mentre il giudice lo ha condannato a 21 anni. Si tratta di Giovanni Fondino, difeso dagli avvocati Antonio Abet e Angelo Raucci, per un tentativo di omicidio, quello commesso sette anni fa ai danni di Ferdinando Schiavo.

E non è l’unica condanna letta martedì 10 gennaio dal presidente Picardi. Sette anni sono stati inflitti al pentito Paolo Di Grazia. Completamente assolti Francesco Di Grazia, Luciano Cantone, e Salvatore Di Domenico, di Cesa, difesi dall’avvocato Giuseppe Tessitore, e Mario Sacco difeso dall’avvocato Fabrizio Iorio. Per gli assolti il pm aveva chiesto 13 anni di pena a testa. Era il due dicembre del 2003 quando Ferdinando Schiavo, trentacinque anni di Gricignano (attualmente detenuto per l’omicidio di Paolo Solone), scampò alla morte. Sotto accusa per questo tentato omicidio Francesco Di Grazia, trentasei anni di Carinaro, cugino del pentito Paolo Di Grazia, conosciuto con il soprannome “’O Ragno”, Giovanni Fondino, quarantuno anni di Gricignano, Luciano Cantone trentacinque anni di Gricignano, Mario Sacco, ventinove anni di Barra, legato al clan Sarno, e Di Domenico, originario di Cesa. Già assolto con rito abbreviato Antonio Tessitore, ventinove anni, originario di Cercola e residente a Gricignano (originariamente “Antonio Lariccia”, fratellastro di Vincenzo Tessitore, 41 anni conosciuto come “sette pistole”).

Le accuse nei loro confronti erano di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco e spari in luogo pubblico con l’aggravante dell’associazione mafiosa. Secondo quanto indicato dalla Dda, concorde con le risultanze investigative dei militari, i cinque in concorso tra loro avevano organizzato nei minimi particolari l’omicidio di Schiavo, ritenuto elemento scomodo per la realizzazione di un nuovo gruppo egemone sul territorio dell’agro aversano.

Ad organizzare l’azione di fuoco era stato il capo dell’organizzazione, Paolo Di Grazia, che aveva disposto modi, tempi, armi e luoghi dell’omicidio. Tutto era stato organizzato nei minimi particolari. Si era pensato anche al luogo dove nascondere il cadavere (la zona nei pressi del cimitero di Carinaro dove sono stati trovati anche corpi di persone uccise dallo stesso gruppo malavitoso o comunque lì sepolti con la sua compiacenza). Anche i ruoli erano stati indicati: Fondino, che aveva anche motivi di rancore personale nei confronti della vittima dell’agguato, era il basista e aveva procurato le armi; gli altri preparato i sacchi e il fosso. Tutti agirono, tutti erano pronti per sparare, anche se ad esplodere i colpi contro Schiavo fu Fondino. Qualche cosa poi andò male e tutti i piani saltarono.

Nell’immediato gli inquirenti intuirono i moventi del tentato omicidio. In quel periodo Paolo Di Grazia aveva assunto il controllo di Carinaro con il consenso della famiglia Schiavone. Gli accordi erano chiari: Di Grazia poteva “comandare” nel comune a patto di non sconfinare nei territori limitrofi e di continuare a “onorare” le richieste del boss.

La volontà da parte di Di Grazia di autonomizzarsi dal giogo della grande famiglia e la possibilità di avere altri interlocutori (in particolare nel napoletano per riorganizzare la Nco) rendeva però lo stesso insofferente nei confronti di chi gli appariva potesse limitare in qualche modo la sua azione. Ecco che Schiavo, legato da parentela agli Schiavone (essendo sua madre congiunta di Vincenzo Schiavone, nipote di Sandokan, detto “Petillo”) e caratterizzato da un atteggiamento ribelle (aveva infatti avviato la richiesta di estorsioni in modo autonomo) rappresentava un pericolo per la scalata al successo di Di Grazia. Dunque fu disposta la sua morte.

dal Corriere di Caserta (11.01.11)

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