Inchiesta G8, il tribunale dei Ministri: “Fondate le accuse a Lunardi”

di Redazione

Pietro Lunardi ROMA. Le accuse a carico dell’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi raccolte dalla procura di Perugia nell’ambito dell’inchiesta G8 appaiono fondate e le “emergenze processuali non depongono a favore di un provvedimento di archiviazione”.

E’quanto si legge nella relazione del Tribunale dei ministri di Perugia con cui si dispone la trasmissione degli atti al presidente della Camera per l’avvio della procedura parlamentare di autorizzazione a procedere nei confronti di Lunardi, oggi deputato. La “prospettiva accusatoria – si legge nel documento, giunto alla Camera – appare corroborata”, sia per quanto riguarda la “contrarietà dell’atto ai doveri d’ufficio” sia con riferimento “all’utilità ricevuta”.

La vicenda – nella quale Lunardi e il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, sono indagati per concorso in corruzione – ruota attorno al presunto acquisto sottocosto da parte di una società di cui era amministratore il figlio di Lunardi di un immobile di Propaganda Fide (presieduta all’epoca dei fatti dal cardinale Sepe, ndr.), a Roma. In cambio di questo acquisto ad un prezzi di favore Lunardi, all’epoca ministro delle Infrastrutture, avrebbe consentito che la Congregazione rappresentata da Sepe accedesse ad un finanziamento “Arcus” di 2 milioni e mezzo di euro “in difetto dei presupposti”.
Nella relazione – che accompagna gli atti dell’inchiesta – si sottolinea in particolare, anche sulla base di accertamenti della procura della Corte dei conti del Lazio, la “assoluta carenza dei presupposti per la concessione del finanziamento pubblico ‘Arcus’ alla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli o di Propaganda Fide, sollecitato personalmente dal ministro Lunardi”. Viene inoltre evidenziata la “sproporzione tra prezzo pagato e valore dell’immobile, acquistato dalla società immobiliare amministrata dal figlio del ministro Lunardi”. Sul punto vengono citate le dichiarazioni dell’architetto Angelo Zampolini, un professionista che – secondo l’accusa – avrebbe agito per conto del costruttore romano Diego Anemone.
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