I musulmani aversani chiedono un luogo per pregare

di Redazione

Samir Sbahi AVERSA. Samir Sbahi ha 52 anni, ben portati, l’accento tradisce le origini algerine anche se la cadenza napoletana ci indica il dato temporale sulla permanenza in Italia.

“Quasi 25 anni” il moto d’orgoglio nell’affermarlo stride con le mani callose di chi ha lavorato, e duramente, per avere il “privilegio” di risiedere qui. Quando Samir parla della sua religione e del Corano ha una luce che splende negli occhi: “Ci giudicano e ci guardano con disprezzo alcune volte – afferma – come si guarda il diverso, il pericoloso. Siamo stati in piazza Vittorio Emanuele giorni fa, per la chiusura del Ramadan, non avevamo altro posto in cui riunirci, e la gente ci guardava un po’ con curiosità, un po’ con disgusto”. Si, perché è quello che in realtà manca alla comunità musulmana di Aversa: un luogo dove poter professare liberamente il proprio credo.

Dati alla mano, la sola città normanna conta 600 musulmani, che diventano tremila nell’agro aversano. Sono silenziosi, quasi assenti, i giovani nati e regolarmente inseriti nella comunità, studiano nelle scuole ed università sparse sul territorio cittadino, molti lavorano come manovali, tornando esausti la sera nelle piccole corti della zona antica di Aversa. Ma la voce è unanime quando si chiedono pari opportunità e parità di trattamento.

“Siamo stati più volte in comune – racconta Samir – per chiedere uno spazio, uno qualsiasi, che ci consenta di svolgere i riti quotidiani legati al nostro credo religioso e di creare un centro culturale multietnico. Abbiamo anche parlato con l’assessore Lanzetta, persona gentilissima, che però non ci ha dato speranze. Ci hanno detto di parlare con la chiesa cattolica, noi siamo disponibilissimi, ma cosa dovremmo dirci? Qualcuno ci ha addirittura incitato ad andarcene da Aversa, a trasferirci nei paesi vicini, ma noi amiamo questa città e vorremmo solo poterci riunire in un posto dove insegnare ai nostri figli i testi sacri”. Per ora, invece, i 600 mussulmani cinque volte al giorno si riuniscono per pregare in case piccole e sufficienti a contenere non più di diecipersone. Facendo di fatto cadere uno dei cardini principali del Corano che stabilisce la preghiera comune.

La soluzione potrebbe essere quella di dare alla comunità islamica uno dei tanti standard comunali (tra l’altro esiste un regolamento approvato da poco in Consiglio) sul quale loro stessi sarebbero disposti a costruire un piccolo tempio. Un luogo pulito e civile per professare la propria religione. Pensando che poi Aversa è la “città delle 100 chiese” la cosa, se si vuole, non dovrebbe essere difficile.

E per stemperare il clima negativo che, dal fatidico 11 settembre, aleggia sui musulmani, Samir cita una frase di Indira Gandhy: “Le persone devono capire che io e te siamo la stessa cosa, non posso fare del male ad una persona senza ferirmi”.

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