Legge elettorale, D’Alema propone modello tedesco ma il Pd si spacca

di Redazione

Massimo D'Alema ROMA. Non è la prima volta che, quando Massimo D’Alema rilancia il modello tedesco, nel Pd si alimentano le divisioni.

La reazione non cambia in tempi di “Nuovo Ulivo”, il progetto che Pier Luigi Bersani ha indicato per tornare a vincere le elezioni: Rosy Bindi tuona contro “il ritorno alla politica delle mani libere” della prima Repubblica, veltroniani e popolari vedono minate le ragioni plurali del Pd. Tocca al segretario mediare: “Il bipolarismo ormai è nel senso comune, non sarannodue regole a sconfessarlo”, assicura il leader Pd per il quale la riforma si fa con chi ci sta.

Bersani teme che lo slancio, impresso al Pd dopo la pausa estiva, si areni di fronte a divisioni e polemiche interne. “Qua non stiamo a pettinare le bambole, la battaglia per mandare a casa Berlusconi non è semplice”, avverte il segretario Pd che ammette le critiche ma con a due condizioni: no alla tendenza alla “demo-depressione” e no a picconate alla ditta. E qui il riferimento non è a Walter Veltroni, che anzi ringrazia, ma al sindaco di Matteo Renzi, che aveva invocato la rottamazione dei ‘grandi vecchi’ del partito: “Per costruire non basta distruggere, rompere il giocattolo non porta a niente”, è lo stop di Bersani.

Il nodo sulla riforma della legge elettorale è da sempre irrisolto nel Partito democratico, diviso tra varie fazioni. D’Alema rilancia il proporzionale con sbarramento, che piace all’Udc e alla sinistra ma non all’Idv, e boccia il Mattarellum, l’uninominale che tra i democratici va per la maggiore. Ma oltre al modello è soprattutto quel riferimento “ad un centro forte che si allea con la sinistra” a far infuriare i sostenitori del maggioritario e i cattolici

del Pd. “Non si può immaginare di uscire dal berlusconismo – attacca il presidente Rosy Bindi – tornando indietro, con i partiti che umiliavano le istituzioni e i cittadini, non si può tornare alla politica delle mani libere, come di fatto propone D’Alema con il sistema tedesco, delle coalizioni costruite a tavolino dopo il voto”. E Dario Franceschini, leader della minoranza interna, indica nel bipolarismo il faro per qualsiasi modello di riforma.

Bersani, anche giocoforza, non vuole impiccarsi sui modelli elettorali. In primo luogo per il leader Pd si dovrà vedere “in quanti, anche nel centrodestra, ci stanno a cambiare questa legge che è un’abominia”. Poi si potrà aprire il confronto sui modelli partendo però dal fatto che “non sono due regole a drizzare le gambe ai cani e il bipolarismo è ormai nella cultura del paese”. Un bipolarismo che va però reso “piu’ flessibile” con certe modifiche che possono essere raggiunte “con correzioni o al modello tedesco o al Mattarellum”. In ogni caso, sdrammatizza il leader, “discutiamo ma in souplesse”.

Anche perché il rischio da evitare è di tornare a guardarsi l’ombelico mentre la maggioranza naviga a vista. Maggioranza che coglie al volo, da Daniele Capezzone a Sandro Bondi, le divisioni dentro il Pd per distrarre dalle proprie, ironizzando su come sia “surreale che il Pd sia lacerato anche su un tema che non è all’ordine del giorno”.

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