“Faccia d’Angelo”, da boss a venditore di casalinghi

di Redazione

Felice ManieroVENEZIA. Spaghetti all’astice e prosecco serviti nella “gabbia” mentre assistevanel 1994 al processo davanti alla corte d’assise Venezia. O sfrecciare su un’auto sportiva mentre era in programma di protezione.

L’immagine di Felice Maniero, l’ex boss della Riviera del Brenta tutto genio del male e sregolatezza, da lunedì 23 andrà in archivio, sostituita da quella di un anonimo imprenditore di casalinghi che varca la soglia della libertà.

Con la fine dell’ultima misura restrittiva, il soggiorno obbligato, “Faccia d’angelo” a 55 anni torna ad essere un uomo come tutti gli altri. Anche se con un passato pesante, una scia di sangue che ha legato la sua banda a 17 omicidi registrati in Veneto negli anni Ottanta, oltre a due rapine miliardarie ai danni del Casinò di Venezia e dell’aeroporto “Marco Polo” di Tessera, dove era in partenza un carico di 170 chili d’oro. Senza contare le rocambolesche evasioni dal carcere di Fossombrone e Padova. Grazie alla sua collaborazione con la giustizia, decisa nel 1995, dopo l’ultima cattura, a Torino, Maniero si era visto infliggere una condanna definitiva a 17 anni di reclusione: 11 anni per associazione per delinquere di stampo mafioso, con rapine, traffico di droga e sequestri, e 14 per sette omicidi, dei quali il boss ne ha riconosciuti solo cinque. Lo status di collaboratore gli è valso il vantaggio del cumulo delle pene.

Forse da oggi dalla sua nuova casa segreta, lontano da Campolongo Maggiore, la città natale del veneziano dove aveva costruito una faraonica villa con piscina lussuosa almeno quanto lo yacht da dolce vita “Lucy” sul quale venne arrestato a Capri nel ’93, brinderà da solo, come ai vecchi tempi, lasciando alle spalle un pezzo della sua vita. Ma non i ricordi dolorosi, come la morte suicida nel 2006 della figlia Elena e la scomparsa nell’88 di Rossella Bisello, madre di suo figlio Alessandro, sostituita nel cuore dell’ex boss dalla fedelissima cognata Marta.

Quanto nell’uomo di oggi sia il frutto di un percorso di ravvedimento e di ripensamento del proprio vissuto è difficile da capire, anche per il suo stesso legale, Gian Mario Balduin. “Da un certo punto di vista è un uomo nuovo, una persona molto provata – ammette – ma per saperlo bisognerebbe conoscerlo più a fondo”. Aperto il giudizio dell’avvocato anche sul senso della parola pentimento per l’ex boss: “Dobbiamo capire cosa si intende con la parola pentito. – dice cauto Balduin, confidando peraltro “nell’intelligenza” di Maniero – Dal punto di vista giuridico certamente sì, da quello pratico lo sa solo lui”.

Intanto, si alimenta ilmito mediatico: a giorni le riprese del film di Andrea Porporati ispirato all’autobiografia “Una storia criminale”, scritta da Maniero con il giornalista Andrea Pasqualetto.

IL POLIZIOTTO CHE LO ARRESTO’. Sensibile e allo stesso tempo cinico, apparentemente autonomo nelle decisioni, ma fortemente condizionato dalle figure femminili della sua vita, in particolare dalla madre: così Michele Festa, sostituto commissario alla squadra Mobile della polizia di Verona, racconta il boss Felice Maniero, che arrestò nel 1994 a Torino, quando era un investigatore della Criminalpol di Venezia, dopo l’evasione di “faccia d’angelo” dal carcere di Padova.

Ride ancora, Festa raccontando il dialogo, sul filo dell’ironia, che accompagnò la cattura del boss della mala del Brenta: “Ancora tu?”, disse Maniero vedendo l’investigatore, che gli rispose, citando la canzone di Battisti: “Ma non dovevamo vederci più”? “Una persona complessa”, lo ricorda Festa. Per il poliziotto, “tutto quello che Maniero ha fatto nel suo passato non è mai stata una sua decisione autonomia, ma sulla spinta di altri, le donne soprattutto”. Festa ricorda di averlo conosciuto nel 1992, quando, da Avellino, venne trasferito alla questura di Venezia: “Il mio battesimo investigativo l’ho avuto con lui”. Maniero uomo dai due volti, capace di parlare sino allo sfinimento, quasi a esorcizzare l’ansia che lo faceva dormire poche ore per notte, e poi di dare spazio a un cinico silenzio, pianificatore di morte. Boss umano nella sua crudeltà, ma razionale nella spietatezza del suo essere criminale.

Su chi abbia raccolto oggi l’eredità di Maniero, Festa ha le idee chiare: “Nessuno della mala del Brenta di estrazione padovana, violenta e priva di qualunque raffinatezza. Piuttosto, la parte veneziana dei suoi ‘eredi’, più specializzata nella droga e nelle case da gioco”. Con gli investigatori, Maniero ha sempre ingaggiato un duello leale, tra avversari che si rispettano: “Non ricordo abbia mai manifestato alcun rancore nei miei confronti, e mai lo fece con altri, a parte due investigatori che riteneva corrotti”.

LE “IMPRESE” DI MANIERO. Soprannominato “Faccia d’Angelo” dallo stesso mondo del crimine, è stato la mente di feroci rapine, sanguinosi assalti a portavalori, colpi in banche e in uffici postali, accusato di almeno sette omicidi, traffico di armi e droga e associazione mafiosa. Dopo vent’anni di rapine, rapimenti, evasioni e omicidi, è divenuto il capo della mala del Brenta, quando nell’agosto 1993 è arrestato sul suo yacht al largo di Capri.

Oltre che per la sua carriera criminale, è noto al pubblico per il suo stile di vita brillante e le abitudini al lusso appariscente. Arrestato per la prima volta nel 1980, nella sua lunga carriera colleziona una serie di clamorose evasioni: nel 1987 evade dal carcere di Fossombrone; il 16 giugno 1994 è protagonista di un’altra evasione dal supercarcere di Padova assieme al braccio destro Antonio Pandolfo e ad altri fedelissimi. Catturato a Torino nel novembre successivo, viene condannato a 33 anni di reclusione, poi ridotti a venti anni e quattro mesi (pena definitiva). È stato difeso dall’avvocato veneziano Vittorio Usigli, noto alle cronache anche per un flirt con Ornella Vanoni e per essere stato ingaggiato da Berlusconi, in qualità di esperto di risorse umane, nel 2004 per riorganizzare Forza Italia. Nel febbraio 1995 si pente e contribuisce a smantellare la sua banda. Viene alloggiato a spese dello Stato con la famiglia in una lussuosa villa, tanto che ne nasce uno scandalo con perdita della protezione per pentiti. Il 14 dicembre 1996 è condannato dalla Corte d’assise d’appello di Venezia a 11 anni di carcere e 60 milioni di lire di multa grazie alle attenuanti generiche e alla diminuente per la collaborazione. Solo il 2 maggio 1998 è arrestato per scontare la pena residua, quattro anni. Diviene in seguito collaboratore di giustizia e viene ammesso al programma di protezione, da cui viene escluso per una serie di violazioni delle regole di comportamento. In seguito cambia nome e sconta la pena in una località segreta. Nel febbraio 2006 il suo nome ritorna sui giornali per il suicidio della figlia trentunenne.

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