Traffico illegale di rifiuti: 14 arresti in sette regioni

di Redazione

NoeCASERTA. I fanghi dei rifiuti che avrebbero dovuti essere trattati secondo le norme di legge, venivano sparsi nei terreni delle campagne del casertano.

E’ quanto emergedall’operazionedei carabinieri del Noe che ha portato a 14 arresti in 7 regioni (Lazio, Campania, Marche, Umbria, Toscana, Puglia e Abruzzo) per concorso in traffico illegale di rifiuti speciali e tossici e falso.

In particolare, un’impresa di Gricignano (Caserta), la Progest, situata nell’area industriale,aveva l’incarico di ritirare i liquami presso le abitazioni prive di collegamenti alle fogne. Gli stessi liquami avrebbero dovuto essere trattati e inertizzati ma i fanghi, secondo i magistrati inquirenti, venivano gettati nelle campagne del casertano.

GLI ARRESTATI. L’indagine è nata da un ramo dell’inchiesta sull’emergenza rifiuti in Campania. Emesse quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di Giuseppe Capece (amministratore Progest), Domenico Buonincontri (Progest), Marco De Gregorio (Progest), Guido Gostoli (consulente Geoconsluting); cinque ordinanze di custodia cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di: Davide Di Nicola, Antonio Senatore, Fabio Baldaccini, Alberto Romiri, Stefano Somigli; due obblighi di dimora per Luca D’Alessandri e Roufael Magdy Hamdy; tre divieti di dimora per Francesco Orecchiuto, Danilo Giustozzi e Moreno Giustozzi.

I SEQUESTRI. Sequestrati gli impianti Progest (Gricignano), Se.In. (Morolo, Frosinone), Seam (Montearchi, Frosinone), discarica Pistoia Ambiente (Serravalle Pistoiese), discarica Mad (Roccasecca, Frosinone), e numerosi automezzi adibiti al traffico illecito di rifiuti.

L’INDAGINE.

Gli indagati sono risultati essere i gestori di varie società operanti nel settore imprenditoriale connesso alla gestione e trattamento dei rifiuti, che dalla Progest di Gricignano (centro di stoccaggio e di compostaggio) aveva collegamenti con società operanti nelle regioni Lazio, Toscana e Puglia. In particolare, si è avuto modo di verificare come le aziende coinvolte, regolarmente autorizzate, effettuavano, oltre alla normale ed autorizzata attività di lecito trattamento dei rifiuti, anche un occulto, parallelo, imponente ed illecito traffico di rifiuti. Con il sistema architettato veniva svolto un illegale smaltimento sia di rifiuti “speciali” sia di rifiuti “speciali pericolosi”.

L’attività illecita accertata ha consentito la realizzazione di notevoli profitti: smaltendo rifiuti speciali e pericolosi, con modalità illegali ed inidonee e neutralizzare la potenzialità inquinante degli stessi, chi li conferiva otteneva il vantaggio di pagare un prezzo di gran lunga inferiore rispetto a quello che avrebbe dovuto corrispondere a fronte di un corretto smaltimento e/o recupero; chi li riceveva, a sua volta, incrementava il volume di affari della sua impresa, non più limitato alla ricezione dei soli rifiuti autorizzati. L’illecito modus operandi, riferisce la Procura, si fondava: su una sistematica manipolazione dei rifiuti, mediante improprie “declassificazioni” (da pericoloso viene trasformato, documentalmente, in non pericoloso con falsificazione dei documenti di trasporto – Cer (codici identificativi dei rifiuti) – al fine di nascondere la reale tipologia dei rifiuti conferiti e oggetto dell’illecita miscelazione; sull’assegnazione di un codice non corrispondente alla reale natura del materiale trattato, ma che fittiziamente serviva a rendere il rifiuto stesso compatibile con l’atto autorizzativo dell’impianto di destinazione; sul conferimento a terzi (consapevoli) del rifiuto “mascherato”, mediante triturazione e miscelazione di diverse tipologie di materiale da smaltire, con un’attività fittizia di trattamento e/o recupero, allo scopo di occultare l’originaria natura di quanto miscelato e per poterlo smaltire in maniera solo formalmente regolare, dopo aver creato degli apparenti passaggi intermedi, al fine di far apparire come compiute sul rifiuto attività di trattamento tali da renderlo idoneo per gli impianti di destinazione finale.

Tale modus operandi rappresenta, nel panorama di simili reati, una evoluzione delle modalità esecutive del delitto di traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi. Infatti, per lungo tempo la relativa attività delinquenziale di gestione e traffico si è svolta mediante lo sversamento illecito (ed occulto) in siti non autorizzati. Attualmente tale strategia criminale non è stata più ritenuta conveniente. Infatti, la consapevolezza, ad ogni livello istituzionale, del grave problema ambientale ha determinato, da una parte, l’emanazione di una legislazione molto più restrittiva, dall’altra, un capillare controllo del territorio da parte delle forze di polizia in genere. Tutto ciò ha reso quanto mai difficile nascondere discariche abusive o effettuare trasporti di rifiuti privi di documentazione di accompagnamento. La messa in atto di più incisivi strumenti repressivi ha comportato l’elaborazione di un meccanismo illecito più raffinato, messo in pratica nei fatti in esame, e consistito nel conferire rifiuti pericolosi e speciali in centri regolarmente autorizzati, ma per altra tipologia di rifiuto. Allo scopo, è stato necessario adottare un meccanismo criminale organizzato in maniera complessa ed efficiente, utilizzando intermediari fra i destinatari e i produttori dei rifiuti (in grado di veicolare al meglio, spesso tramite opportuni passaggi intermedi, i rifiuti illecitamente destinati); professionisti (chimici) abilitati a redigere analisi, test di cessione e formulari “di comodo”, da cui risultava, falsamente, la compatibilità dei rifiuti con la loro destinazione presso i siti di volta in volta prescelti dall’organizzazione criminale. Così operando, tali illeciti non potevano essere scoperti dai soli controlli occasionali, in quanto, le eventuali verifiche “su strada” dei mezzi di trasporto, non consentivano di accertare la divergenza fra il codice Cer e la natura del rifiuto che poteva essere verificata solo mediante analisi chimiche all’uopo predisposte. Allo stesso modo, un controllo episodico presso gli impianti, presentava analoghe difficoltà, visto che il rifiuto veniva miscelato immediatamente e reso di difficile individuazione circa la provenienza. Quindi, per accertare e reprimere gli illeciti, si è dovuto far ricorso ad una complessa e analitica attività investigativa, svolta con elevata professionalità dai carabinieri.

Gli elementi a carico sono stati acquisiti mediante: intercettazioni di conversazioni telefoniche; riprese di immagini di quanto accadeva, attraverso un impianto di video sorveglianza collocato sul luogo di interesse investigativo; servizi di osservazione, controllo e pedinamento; riscontri documentali; sopralluoghi.

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