Caso Caldoro: arrivano le dimissioni dell’assessore Sica

di Emma Zampella

Stefano Caldoro e SicaNAPOLI. L’inchiesta si allarga e anche Ernesto Sica, assessore della Regione Campania con delega all’avvocatura, finisce nel registro degli indagati assieme a Flavio Carboni, Raffaele Lombardi e Arcangelo Martino, già in carcere, e Denis Verdini, coordinatore regionale del Pdl.

L’accusa che grava su di loro è la violazione della legge Anselmi: secondo la Procura di Roma, i cinque avrebbero organizzato una strategia di delegittimazione nei confronti del presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, avvantaggiando così la posizione politica del suo diretto concorrente Nicola Cosentino, nel corso delle passate elezioni regionali. Secondo la Procura di Roma, inoltre, “l’organizzazione” avrebbe agito per influenzare le scelte della politica pilotando nomi di giudici e assessori. Le voci che screditavano la figura di Caldoro avevano avuto sviluppo dalle pagine della rete internet, dove alcuni siti avevano cominciato a parare di accordi con la camorra e partecipazioni a party con transessuali che avevano come protagonista lo stesso Caldoro. Un caso alla Marazzo quindi che avrebbe potuto comportare il ritiro dalle elezioni. Inevitabile lo sconcerto del presidente della Regione Campania, che si è detto amareggiato per la posizione assunta da un suo collaboratore.

L’intento di Sica era quello di screditare la figura di Caldoro per ottenerne il ritiro dalla scena politica, facendo così prevalere la candidatura dell’avversario Cosentino, accusato di aver rapporti con la camorra casalese, salvato però dal parlamento che ne respinse la richiesta d’arresto emessa dalla Procura di Napoli. I due attori principali di questa vicenda hanno scelto di incontrarsi: Caldoro voleva capire se Sica ritardasse le sue dimissioni per capire gli equilibri del partito, sentendosi forte dell’appoggio dei compagni del Pdl. Quanto a Sica, dall’incontro sperava che Caldoro capisse la propria posizione, ritirandosi dalle scene, appena la storia del complotto è saltata fuori. Ma d’altronde la posizione di Sica all’inetrno di quella amministrazione era una del tutto atipica: il sindaco di Potecagnano, un comune salernitano, non aveva mai conosciuto Caldoro prima di essere chiamato a far parte della giunta. Conosceva però bene la “controparte”, Nicola Cosentino di cui era stato lo sponsor durante la campagna elettorale: Sica nella giunta regionale della Campania al momento dell’elezione di Caldoro è stato definito come il prezzo da pagare al potentissimo coordinatore del Pdl della Campania, nonostante la mancata volontà del governatore campano di chinare il capo alle oppressioni del potere. L’incontro però non ha portato i frutti sperati nè dall’una nè dall’altra parte: Caldoro ha però ottenuto le dimissioni dell’assessore Sica che secondo il suo parere non è mai stato ben voluto in quell’amministrazione, che voleva solo che andasse via.

Nello stesso momento Caldoro ha potuto costatare la natura degli uomini di cui andava circondandosi, riuscendo solo a carte scoperte a capire che se l’operazione organizzata dal suo assessore fosse andata in porto la sua carriera sarebbe stata stroncata a vantaggio del suo concorrente che avrebbe amministrato la regione nonostante i problemi giudiziari. Il complotto è stato definito anche come un regolamento di conti all’interno del partito. La reazione di Caldoro, all’indomani della scoperta del complotto, è positiva ad andare avanti: Primo scoglio, archiviato. Però era ovvio. Resta tutta aperta la questione dentro il partito. Da oggi dobbiamo mettere il turbo, si riparte. Senza farci frenare dallo squallore”. Il faccia a faccia tra il governatore e il suo collaboratore autore del complotto è durato all’incirca 10 minuti. Lo sfogo di Caldoro., dopo l’incontro è stato avvolto dall’incredulità, ma dalla voglia di voler comprendere chi muoveva le pedine alle sue spalle: “Non riesco proprio a capire. In questa sporca storia chi è che decide? E Sica a chi risponde”. Ai sui collaboratori Caldoro ha confidato di essere “preoccupato e amareggiato, confidandola piena fiducia nella magistratura”. Lo stesso Sica annunciando le sue dimissioni ha fatto sapere però di essere “solo l’ultima ruota del carro” e motivando le sue dimissioni aggiunge: queste nascono dal pieno rispetto dei ruoli istituzionali, dalle condizioni oggettive della vicenda giudiziaria – per la quale l’assessore è convinto di dimostrare la piena innocenza – e per evitare ogni strumentalizzazione che possa indebolite l’azione politica ed amministrativa della giunta”.

Sica aggiunge: Nel contempo dichiaro la mia totale disponibilità a consegnare le dimissioni nelle mani del presidente nonostante la mia estraneità ai fatti che sono certo di poter dimostrare in sede giudiziaria, a garanzia democratica di trasparenza e di correttezza istituzionale, per la tutela della mia persona e della giunta”. Nonostante la burrascosa vicenda, il presidente della regione campania ha avuto un incontro con Nicola Cosentino riguardo al quale ha detto: “Tra di noi non c’è nessun problema”. Ance tutti gli altri assessori ritengono ormai “politicamente incompatibile” la presenza di Sica e fanno capire che quest’incidente non fermerà “l’azione di risanamento avviata”. La Procura di Roma ha determinato un’accusa per precisa per tutta l’organizzazione definendola “un’associazione per delinquere diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti e volta a condizionare il funzionamento degli organi costituzionali‚ degli apparati della pubblica amministrazione”. già lo scorso mese, i pubblici ministeri di Napoli, Giuseppe Narducci ed Alessandro Milita, si erano incontrati con i magistrati romani per discutere per valutare le vicende collegate alle pressioni esercitate dalla banda per l’accoglimento del ricorso avanzato in Cassazione dai legali di Cosentino.“Aspettiamo gennaio. Se la Cassazione accoglie il ricorso, sono in pista di nuovo”, era la strategia indicata a Roma. Richiesta esaudita. Fino al verdetto, infausto, della suprema Corte. E allo scandalo costruito “alla Marrazzo”: per affossare l’uomo che gli aveva usurpato un futuro da governatore.

Ma gli indagati per violazione della legge Anselmi sono molti di più: sono in corso infatti accertamenti sulle posizioni del senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, dei magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, capo degli ispettori del ministero della Giustizia. Nessuno di loro, affermano in Procura, è al momento indagato. Si tratta delle persone che il 23 settembre 2009 parteciparono alla riunione nella casa romana di Verdini per concordare, secondo i pm, le modalità di intervento per condizionare il giudizio della Consulta sul lodo Alfano. Verdini potrebbe essere convocato dai pm la prossima settimana. “Non ho mai costituito associazioni segrete né fatto pressioni – ha replicato – sono pronto a incontrare i magistrati, nella speranza che cessi questo stillicidio di fango”. Gli accertamenti si estendono anche alle altre persone coinvolte nei tentativi, tutti falliti di condizionare scelte politiche e nomine. I casi emblematici sono infatti due: quello di Cosentino, per il quale il gruppo tentò di intervenire sulla Cassazione perché respingesse la misura cautelare emessa contro di lui dai pm di Napoli, e quello del presidente della Corte d’Appello di Milano, Alfonso Marra, la cui nomina fu caldeggiata da Lombardi con interferenze su Caliendo, sul presidente uscente della Cassazione, Vincenzo Carbone, e su altri componenti del Csm, tra cui il vicepresidente Nicola Mancino che precisa: “Lombardi mi chiese di aiutare Marra, ma decisi in autonomia”. Quanto ai tentativi di fare accogliere il ricorso della lista “Per la Lombardia” del presidente Roberto Formigoni contro l’esclusione dalle regionali e di fare inviare dal ministero della Giustizia un’ispezione al collegio che respinse il ricorso, nell’ordinanza di custodia cautelare si parla di contatti tra Martino e Formigoni e poi tra Lombardi e collaboratori del presidente per concordare come intervenire sul giudizio.

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