Ergastolo per il padre di Sanaa: uccisa perchè amava un italiano

di Emma Zampella

 PORDENONE. È stato condannato all’ergastolo El Kataoui Dafani, il cuoco marocchino di 51anni che nel settembre scorso sgozzò la figlia, Sanaa, provocandone la morte perché amava un italiano.

La vicenda torna alla ribalta facendo la soddisfazione di molte musulmane che hanno ricevuto giustizia con questa pena esemplare. La decisione è stata emessa dal Gup del tribunale di Pordenone che con rito abbreviato ha deciso la massima pena per l’omicidio di Sanaa. “L’ergastolo non è sufficiente” ha detto Massimo De Biasio, il fidanzato della giovane marocchina che al momento dell’omicidio fu gravemente colpito dal padre della ragazza, riportando grosse ferite alle mani. La decisione si è consumata con l’assenza dei parenti dell’omicida che non hanno voluto partecipare all’ultimo atto del processo.

La freddezza della comunità musulmana e marocchina ha mosso le reazione di rappresentate dalla parlamentare del Pdl, Souad Sbai, nonché a capo dell’associazione donne marocchine. “Sono rammaricata di vedere ancora la pressoché totale assenza delle femministe e dei parenti. Oggi tutta l’Italia si deve schierare dalla parte delle donne, dalla parte di Sanaa. Oggi, ribadiamo una volta di più in quel tribunale che siamo tutte Sanaa”, ha detto la presidente. A far trapelare la notizia della condanna è stata la stessa Suoad Sbai che ha detto soddisfatta: Non era mai accaduto e questo è un fatto estremamente importante, un segnale forte di condanna della ferocia che non può avere nessuna scusa, nessun alibi di nessun tipo. – e aggiunge – Basta integralismi, basta estremismi – Lo Stato deve prendere in mano la comunità. Nessuna attenuante culturale e religiosa perché ciò infangherebbe il mondo arabo e islamico: si sta parlando di una ragazza uccisa per questioni di pressioni esercitate da alcuni personaggi della comunità”.

Soddisfazione arriva anche dalla giustizia italiana di cui si fa portavoce il sottosegretario dell’Interno, Alfredo Mantovano, che ha detto: “La sentenza serve a riaffermare il principio che in Italia nessuna lesione ai diritti fondamentali, e quello alla vita è il primo di essi, può conoscere tolleranza o comprensione, neanche parziali. Tale riaffermazione deve avvenire quotidianamente sia nell’azione del governo centrale e dei governi del territorio sia nella risposta giudiziaria contro inaccettabili soprusi”.

Il legale dell’imputato però non si arresta di fronte ad una pena tanto esemplare: Leone Belillo, il difensore ha annunciato il ricorso in appello, considerando la pena troppo dura e insistendo sulla scelta della modalità del processo: con la scelta del rito abbreviato l’imputato avrebbe diritto alla riduzione di un terzo della pena.

La presidenza dell’associazione delle donne marocchine conclude: La nostra legge punisce il delitto d’onore. Chiederemo i 30 anni per il padre orco ma siamo anche qui a ribadire che comportamenti criminali di questo tipo che offendono non solo le donne, ma tutta l’Italia, il suo ordinamento giuridico e le sue istituzioni non dovranno mai più verificarsi. Non permetteremo alla parte estremista e malata della comunità di prendere il sopravvento e imporci la sua violenza. Avrei voluto vedere oggi il sostegno e la presenza di tutte le femministe troppo brave nelle parole spese nei salotti e poco nei fatti”.

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