Caso Cucchi, 13 persone rinviate a giudizio

di Emma Zampella

Stefano_CucchiROMA. Le indagini sulla morte di Stefano Cucchi vanno avanti e la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per 13 persone.

Gli accusati sono prevalentemente medici, infermieri e guardie penitenziarie, accusati di aver provocato la morte di Cucchi, il cui decesso sarebbe avvenuto 6 giorni dopo il suo arresto. La richiesta di rinvio a giudizio è stata firmata dai pm Vincenzo Barba e Francesca Maria Loy, che hanno contestato i reati che vanno da lesioni aggravate all’abuso di autorità nei confronti dell’arrestato, dal falso ideologico all’abuso di ufficio, fino all’omissione di referto. Secondo l’accusa Cucchi fu picchiato mentre era nelle celle i sicurezza del Tribunale di Roma in attesa di processo: per gli accusati l’aggravante sarebbe data dal fatto che la vittima, una volta arrivato in ospedale, non sarebbe stato curato con le opportune cure. La decisione resta però connessa al gup Rosalba Liso, che aspetta di pronunciarsi in merito.

Per i magistrati gli accusati tra le file delle guardie penitenziarie sono Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, tra i medici Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Luigi Preite De Marchis e Rosita Caponetti, mentre tra gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, a cui si aggiunge il dirigenti del Prap Claudio Marchiandi. Secondo l’accusa quest’ultimo insieme con la dottoressa Rosita Caponetti dirigente medico di turno in servizio all’ospedale Sandro Pertini, “Il 17 ottobre scorso, al fine di precostituirsi le condizioni previste dal protocollo organizzativo di struttura complessa di medicina protetta per accettare il ricovero di Stefano Cucchi, a indicare falsamente nell’esame obiettivo riportato nella cartella clinica redatta all’ingresso del paziente, i seguenti dati in ordine alle condizioni generali dello stesso; in particolare indicava condizioni generali ‘buone’, stato di nutrizione ‘discreto’, ‘decubito indifferente’, apparato muscolare ‘tonico trofico’ e apparato urogenitale ‘ndr’; dati palesemente falsi in ordine alle reali condizioni del paziente. Ed in evidente contrasto – si continua nel capo d’imputazione – con quanto indicato nella cartella infermieristica redatta presso lo stesso reparto e con i rilievi obiettivi dei sanitari della casa circondariale di Regina Coeli e dei sanitari del pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli, essendo in particolare, il paziente allettato in decubito obbligato cateterizzato, impossibilitato alla stazione eretta e alla deambulazione, con apparato muscolare gravemente ipotonotrofico, tanto da indurre i sanitari a praticare terapia per via endovenosa vista l’assenza di sufficiente muscolatura per praticare intramuscolo”.

Il capo di imputazione per le guardie penitenziarie invece sarebbe quello di lesioni e abuso di autorità: “Abusando dei poteri inerenti alla qualità di appartenenti alla polizia penitenziaria, quali preposti alla gestione del servizio delle camere di sicurezza del Tribunale penale di Roma, adibite alla custodia temporanea degli arrestati in flagranza di reato in attesa dell’udienza di convalida, spingendo e colpendo con dei calci Cucchi, che ivi si trovava in quanto arrestato”– recita il capo di imputazione e aggiunge- “lo facevano cadere a terra e gli cagionavano lesioni personali, consistite in ‘politraumatismo ematoma in regione sopracillare sinistra, escoriazioni sul dorso delle mani, lesioni escoriate in regione para-rotulea bilateralmente cinque lesioni escoriate ricoperte da crosta ematica in corrispondenza della cresta tibiale sinistra, altre piccole escoriazioni a livello lombare para-sacrale superiormente e del gluteo destro, ed infrazione della quarta vertebra sacrale’, dalle quali derivava una malattia della durata compresa tra 20 e 40 giorni”.

Per i 6 medici invece l’accusa è di abbandono di persone incapaci aggravato dalla morte: “Omettevano di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza che nel caso di specie apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adattabilità e non comportavano particolari difficoltà di attuazione essendo peraltro certamente idonei ad evitare il decesso del paziente”, affermano gli inquirenti.

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