Condannato ai domiciliari ma anche a morire di fame

di Redazione

 ORTA DI ATELLA. La Garante regionale dei detenuti, Adriana Tocco, scrive in merito alla situazione che vive Cristoforo Ferro, residente a Orta e detenuto in casa per scontare un residuo di pena.

Se i servizi sociali non danno risposta, quale altra strada è percorribile per una persona in detenzione domiciliare così indigente da non riuscire a procurarsi nemmeno il cibo? Qualcuno, lo so, potrebbe suggerire che ritorni in carcere, lì almeno potrebbe mangiare. Ma questo cinico consiglio fa a pugni con il preannunciato decreto Alfano, che affida proprio alla detenzione domiciliare una funzione strategica per ridurre il non più sostenibile affollamento penitenziario.

Paradossi di una logica che assume sempre più l’aspetto di darwinismo sociale, per il quale al detenuto indigente non resta altro che morire di fame. Sì, perché il detenuto indigente esiste davvero, ha nome e cognome, Cristoforo Ferro, e sopravvive, o forse nemmeno, a Orta di Atella, provincia di Caserta, con la madre pensionata settantenne i cui 500 euro mensili risultano così impegnati: 350 euro per l’affitto, 120 per le utenze (il gas è già stato tagliato) e 30 per medicinali salvavita. Nessun algoritmo finanziario, per quanto sofisticato, assegna loro una possibilità di sopravvivenza. Per la modesta entità dei reati commessi, il giudice di sorveglianza ha ritenuto la persona in oggetto meritevole della detenzione domiciliare. Sconta cioè il suo residuo di pena in casa, una misura in linea di principio certamente preferibile al carcere, anche se nelle condizioni date rischia di tramutarsi in una misura ben più punitiva, non contemplata dal nostro ordinamento, ossia la condanna a morte per fame.

La persona del nostro esempio concreto non sa più a quale autorità civile o religiosa chiedere aiuto. Scrive, sollecita, implora, ma non riceve risposte. Improvvisamente sono, siamo, divenuti tutti sordi. Ognuno si trincera dietro la propria sfera di competenza istituzionale, per sussurrare alla propria coscienza che non può farci nulla. Credo invece che sia ora di svegliarsi: quel detenuto sta scontando la giusta pena che la giustizia gli ha comminato, né chiede sconti o trattamenti di favore. Chiede solo di poter mangiare, chiede di sopravvivere. Ma abbandoniamo le emozioni: un detenuto in carcere costa allo Stato, e cioè a tutti noi, circa 157 euro al giorno. È coerente tollerare che chi si trova in detenzione domiciliare (si badi non in semilibertà, e dunque con possibilità di lavorare), detenuto perciò a tutti gli effetti, improvvisamente non costi più niente?

È così che il ministro Alfano pensa di risolvere l’emergenza sovraffollamento, con la morte per inedia? Ragionevolmente, mantenendo il 90 per cento del risparmio per le casse dello Stato, dunque per le tanto citate “tasche” del cittadino, basterebbe dotarlo della decima parte di questa somma (15 euro al giorno) per garantirgli quanto basta per il minimo di sussistenza quotidiana.

Le soluzioni a costo zero non solo non sono accettabili e credibili, ma rischiano di diventare davvero la famigerata “soluzione finale”.

Ferro, tra l’altro, si è rivolto al sindacoe ai servizi sociali del Comune di Orta di Atella. Intanto, annuncia iniziative non violente per la sua causa, come quella ditogliersi 200 ml di sangue al giorno finché non saranno soddisfatte le sue richieste.

La pagina di Facebook dedicata al caso Ferro

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