Afghanistan, celebrati i funerali degli alpini: “Loro sacrificio non vano”

di Redazione

 ROMA. Si sono svolti nella Basilica di Santa Maria degli Angeli i funerali dei due alpini, il sergente Massimiliano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio, deceduti nell’attentato in Afghanistan di lunedì 17 maggio.

Presenti le più alte cariche dello Stato e di Governo: dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a quelli di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, al premier Silvio Berlusconi. Numerosi i militari che, a titolo personale o in rappresentanza delle Forze Armate, hanno preso posto sui banchi lungo la navata centrale per l’ultimo saluto ai commilitoni. Interventi anche i presidenti di Regione Roberto Cota (Piemonte), Luca Zaia (Veneto), Renata Polverini (Lazio), il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, il governatore pugliese Nichi Vendola, Francesco Rutelli, Piero Fassino e Dario Franceschini.

La bara è stata portata a spalla dai commilitoni. L’omaggio ai due alpini caduti era stato reso in mattinata anche da moltissimi civili. I feretri di Ramadù e Pascazio erano stati rimpatriati mercoledì con un C-130 dell’Aeronautica militare atterrato a Ciampino. Dopo l’esame autoptico, i feretri erano stati quindi trasferiti al Policlinico Militare Celio, dove mercoledì pomeriggio era stata allestita la camera ardente. Le due bare sono state poste al centro della navata, avvolte nel tricolore, ognuna con sopra una fotografia e il cappello da alpino.

Anche il primo caporal maggiore Gianfranco Scirè, rimasto ferito assieme al caporale Cristina Buonacucina, si è recato a Santa Maria degli Angeli su una sedia a rotelle dall’ospedale militare del Celio dove è ricoverato per la frattura alla tibia riportata nell’esplosione di lunedì. Scirè, che già ieri aveva espresso il desiderio di partecipare alle esequie solenni, ha preso posto di fianco alle due bare avvolte dal Tricolore, nei pressi dei banchi riservati alle famiglie delle vittime.

“Quando Luigi e Massimiliano hanno scelto la professione militare volendo partecipare in modo attivo e creativo alla pace hanno scelto di donare tutto loro stessi per gli altri”. Così ha esordito nella sua omelia monsignor Vincenzo Pelvi. “Amore e pace sono inseparabili, la pace è un effetto dell’amore, deve essere fondata sul senso dell’intangibile dignità umana, sul riconoscimento di un’incancellabile e felice uguaglianza fra gli uomini, su dogma basilare della fraternità umana. La società non è capace di futuro se si dissolve il principio di fraternità”. Il riferimento è andato a tutto il Paese. “Questo è un patrimonio che deve irrobustire la coscienza nazionale di noi italiani. Siamo una’unica grande famiglia, Questo comporta il coraggio di passare dall’indifferenza all’interessamento per l’altro, dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e sorelle con cui essere solidali. Loro sono nostra carne e il nostro sangue italiano da amare ci arricchiscono con la loro presenza. Il sacrificio di Massimiliano e Luigi non è vano non solo per l’Afghanistan ma per ‘Italia e il mondo intero. Ignorare il pericolo terrorista non allontana la minaccia, ma la porta dritto nelle nostre case. La sfiducia nell’azione umanitaria, potrebbe essere la tomba dell’umanità”. La funzione è terminata con la preghiera dell’alpino. Poi i due feretri sono stati portati a spalla fuori dalla basilica ra gli applausi.

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