Martelli: “Avrei denunciato eventuali trattative con Cosa Nostra”

di Emma Zampella

Claudio_MartelliPALERMO. Chiamato a deporre le sue tesi al Processo Mori, Claudio Martelli racconta nell’Aula della quarta sezione del Tribunale di Palermo quanto era stato dichiarato nel suo interrogatorio dello scorso ottobre.

Ma è dalle ore 11 che la tensione nell’aula del Tribunale si fa alta. Martelli divide il suo racconto in due periodi, ripercorrendo il suo trascorso legislativo al fianco di Giovanni Falcone, assieme al quale furono rafforzate iniziative per tenere sotto controllo la vita criminosa di Palermo e della Sicilia. “Bisogna distinguere due periodi, esordisce Martelli. Quello prima delle stragi, e quello successivo. Durante il primo vi fu il tentativo, su impulso di Giovanni Falcone, di riordinare l’assetto delle procure distrettuali in tutta Italia unificandole sotto una procura unica nazionale. Si trattò di un rinnovo totale, che mirava al potenziamento dell’azione di contrasto alla criminalità, al miglioramento della conservazione delle prove e al miglioramento degli strumenti investigativi”.

Un esempio? La norma 41 bis, la cui approvazione fu molto travagliata, vista la materia che andava a regolare. Molte le opposizioni: “In primis quella del presidente della Repubblica dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro, confessa Martelli. Quindi adottammo il provvedimento con un carattere di temporaneità. Anche i parlamentari più garantisti temevano una ripercussione negativa sul clima delle carceri”. La deposizione di Martelli, ministro della Giustizia nel periodo a cavallo tra le stragi di Capaci e di via D’Amelio e l’arresto di Toto Riina, suscita l’interesse dei pm, Antonio Ingroia e Antonio Di Matteo, che spostano il baricentro delle loro domande sulla relazione tra lo Stato e Cosa Nostra. Se avessi saputo di una trattativa l’avrei certamente denunciato , deposita il teste. Avrei fatto l’inferno. Tanto più se essa fosse avvenuta con una controparte come Vito Ciancimino, che reputo una delle menti criminali più raffinate in organico a Cosa nostra. Un boss mafioso a tutti gli effetti, tra i più efferati e più pericolosi”.

Già nella sua deposizione al programma Annozero, Martelli aveva dichiarato che il giudice Paolo Borsellino sarebbe stato informato da Liliana Ferraro, collaboratrice di Martelli al ministero della Giustizia, dei colloqui tra i carabinieri del Ros e l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. “Avemmo la sensazione che tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino ci fossero rapporti stretti, racconta Martelli. Liliana Ferraro che aveva incontrato il capitano dei carabinieri De Donno,ci disse che il Ros si stava muovendo per porre fine al periodo stragista. Ferraro mi raccontò di avere invitato De Donno a rivolgersi a Borsellino. Praticamente, ha continuato, Ferraro mi fece capire che il Ros voleva il supporto politico del ministero a questa iniziativa. Io mi adirai perché trovavo una sorta di volontà di insubordinazione della condotta dei carabinieri. Avevamo appena creato la Dia, che doveva coordinare il lavoro di tutte le forze di polizia e quindi non capivo perché il Ros agisse per conto proprio”. Il teste ha portato avanti la sua testimonianza raccontando di un secondo incontro che si sarebbe consumato tra De Donno e l’ex direttore degli affari penali. “Nell’ottobre del 1992 – ha detto – Ferraro mi disse di avere visto de Donno e che questi le aveva chiesto di agevolare alcuni colloqui investigativi tra mafiosi detenuti e il Ross e se c’erano impedimenti a che la procura generale rilasciasse il passaporto a Vito Ciancimino”. Anche questo incontro fece adirare Martelli che disapprovava l’indipendenza del Ros, ritenendo Ciancimino una menti più terribili di Cosa Nostra.

“Dare credibilità a Ciancimino per cercare di catturare latitanti, ha aggiunto, era un delirio. Per questo chiamai l’allora procuratore generale di Palermo Bruno Siclari esprimendogli la mia contrarietà alla storia del passaporto”.Martelli porta il suo racconto fino alla fine delle stragi in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e ben prima dell’arresto di Totò Riina. Ricordo che nell’estate del ‘92, ha spiegato Martelli rispondendo ai pm, che incontrai il generale Francesco Delfino che mi disse ‘Stia tranquillo, le faccio un ben regalo di Natale: le porteremo Totò Riina…’”.

Nel corso del controesame, Martelli è ritornato sull’argomento e dice: “Nell’estate ’92 il generale Delfino era in Piemonte. Io quella volta ebbi la sensazione di qualcosa di pittoresco. Riina era latitante e sarebbe stato arrestato dopo pochi mesi. Lì per lì, ha aggiunto Martelli, mi parve solo un auspicio”. L’arresto, invece, arrivò davvero e proprio ad opera dei carabinieri del Ros nell’ormai celebre operazione guidata dal “capitano Ultimo” il 15 gennaio 1993.

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