Lega: test di italiano per extracomunitari che aprono negozi

di Redazione

Silvana Comaroli ROMA. Nel clima di tensione che si respira all’interno del Pdl, arriva una nuova proposta degli alleati della Lega: gli extracomunitari che vogliano aprire un negozio devono prima aver superato un esame di italiano.

Si tratta di un emendamento al decreto legge incentivi, che affida alle Regioni il potere di introdurre i nuovi paletti. Le regioni – si legge nella proposta a firma della deputata leghista Silvana Comaroli (nella foto) – possono stabilire che l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio sia soggetta alla presentazione da parte del richiedente qualora sia un cittadino extracomunitario di un certificato attestante il superamento dell’esame di base della lingua italiana rilasciato da appositi enti accreditati”.

La proposta, secondo il deputato democratico Jean Leonard Touadi, “è l’ennesima riprova di come nella Lega si annida il germe della discriminazione e del razzismo. La Lega sta scientificamente pianificando la persecuzione dello straniero. La propaganda leghista sta ormai raggiungendo livelli di guardia estremamente allarmanti. Dalle loro proposte viene fuori solo odio, odio razziale ed etnico. Dov’è il senso della ragione nell’idea di chiedere a un cittadino straniero di dimostrare di conoscere l’italiano per aprire un negozio? È giunto il momento di costruire un fronte politico e culturale molto ampio che ponga definitivamente fine a questa degenerazione razzista”. Sempre dal Pd,il senatore Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione affari europei, aggiunge: “La Lega vuole un esame d’italiano per gli stranieri che intendono aprire un negozio? A sentire molti degli esponenti del Carroccio che vanno in tv, in primo luogo i sindaci, un corso d’italiano con relativo esame sarebbe utile proprio per tanti leghisti. Visto che la Lega utilizza il decreto incentivi per far passare questo provvedimento gli incentivi dovrebbero andare a quelle associazioni che gratuitamente insegnano l’italiano agli stranieri e che fino a qualche decennio fa insegnavano invece agli italiani immigrati la lingua del Paese dove questi andavano a lavorare”.

Una “provocazione ridicola”, così la definisce Cesare Pambianchi, presidente della Confcommercio di Roma: “Ciò che serve – continua Pambianchi – è la formazione per quanti, extracomunitari o europei, intendano diventare imprenditori in Italia. Non basta contrabbandare la necessità di formazione per svolgere attività imprenditoriale o commerciale, come Confcommercio chiede da tempo, con un concetto ristretto e limitato agli extracomunitari e alla lingua italiana. Per questo dico che è provocatorio oltrechè ridicolo”.

Mala promotrice dell’iniziativa, Silvana Comaroli, non ci sta alle accuse: “Le polemiche sollevate dall’opposizione sono strumentali in quanto lo spirito che ha portato a redigere questo emendamento cercava di andare a risolvere un problema legato alla salute dei cittadini. Si tratta anche di norme igienico-sanitarie già previste in ambito europeo. Ricordo, infatti, che tutti i negozi devono sottostare a severi regolamenti per garantire la tutela dei consumatori. In particolare mi riferisco agli alimentari e ai ristoranti che devo sottostare agli Haccp e quindi anche in questo caso le leggi vanno lette e capite per essere recepite. Fondamentale anche per la tutela del consumatore è che proprietari di questi negozi possano comprendere e quindi applicare anche le regole riguardanti lo smaltimento dei rifiuti”.

La misura proposta dalla Comaroli sembra riprendere un analogo provvedimento contenuto nel programma elettorale dei laburisti inglesi. Solo dieci giorni fa, la proposta del premier britannico Gordon Brown di imporre un esame di lingua inglese a tutti i lavoratori extraeuropei che hanno contatti con il pubblico si era guadagnata la prima pagina dei giornali. Se questo provvedimento venisse effettivamente varato, a dover sostenere l’esame d’inglese sarebbero non solo coloro che intendono aprire un’attività commerciale, ma anche badanti, insegnanti, operatori sociali, personale dei call center e chiunque svolga una professione che lo metta in contatto diretto con il pubblico.

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