Cina, Google non mette i filtri e “fa le valigie”

di Emma Zampella

Logo GooglePECHINO. Google non ci sta all’obbligo di censura del governo di Pechino e annuncia di lasciare la Cina, lasciandosi alle spalle il sogno, divenuto utopico, di conquistare la Grande Muraglia.

I vertici della compagnia hanno infatti spiegato di non voler sottostare all’utilizzo forzato di filtri che vietino la circolazione di notizie che potrebbero risultare scomode per lo statuto cinese. Google ha infatti smesso di utilizzare i filtri imposti dal governo in seguito ad attacchi di “pirati informatici” cinesi che cercavano di rubare informazioni relative ai servizi utilizzati da connazionali o aziende locali, consultando la casella di posta Gmail. Ma il portale non accetta.

Anche se la portavoce governativa, Jang Yu, fa sapere che il suo è un paese libero e aperto al confronto. Ma si potrebbe aggiungere che proteggersi non fa mai male. Infatti, ha commentato che la presenza di imprese straniere sul territorio è ben accetta solo se questa si colleghi e rispetti le leggi governative. Il comportamento dei gestori della compagnia sarebbe quindi inaccettabile in quanto l’utilizzo di filtri è imposto dal governo.

Il futuro di Google è quindi incerto. Il ministro dell’Ufficio informazioni del consiglio di Stato, Wang Chen, fa sapere che lo stato cinese è in questo modo tutelato da possibili diffusioni di pedofilia, pornografia e frodi on line. E ha aggiunto che i media su Internet intendono guidare l’opinione pubblica che in questo settore conta il maggior numero di utenti, circa 360 milioni. Ma quella del ritiro di Google dal mercato cinese è solo un’eventualità. Molto spesso sono finite sul banco degli imputati le compagnie internazionali che hanno ceduto alle lusinghe cinesi di imposizioni di filtri in quanto sarebbero una limitazione della libertà di espressione e di opinione. In questo modo si limita un caposaldo della democrazia, ossia la libertà di informazione e di opinione che fa si che il gigante internazionale riceva critiche anche dagli Stati Uniti e dal resto del mondo democratico.

E intanto dichiarazioni arrivano anche dal governo americano, dove Barack Obama fa sapere di essere pieno sostenitore della libertà di informazione, ma soprattutto di Internet. Google non potrà cedere ai “ricatti” del governo cinese perché questo vorrebbe dire inimicarsi il resto del mondo occidentale.

Gibbs ha ricordato che lo stesso Obama aveva affrontato il tema con le autorità cinesi durante il suo viaggio a Pechino l’anno scorso. La censura non sarebbe rivolta solo nei confronti del motore di ricerca, ma anche nei confronti del mezzo di comunicazione che spopola in questo momento, il social network. Bloccati sarebbero a questo punto anche face book e Twitter.

Rebecca MacKinnon, esperta di Internet in Cina, ha affermato: “Google ha subito negli ultimi mesi ripetute prepotenze e rischia di non poter garantire agli utenti la sicurezza delle sue operazioni”. Qualche fondo di verità esiste allora? Anche perché nella protesta cyber nautica non sarebbe finito solo tale motore di ricerca, di cui non si parla espressamente nelle dichiarazioni governative, ma anche altri come lo stesso Yahoo, la cui circolazione sarebbe stata fortemente limitata.

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