La camorra dei casalesi in Emilia

di Redazione

Michele e Pasquale Zagaria Una colonizzazione sommersa. Che sta tracimando e viene sottovalutata dalle classi dirigenti e dai media.

È la camorra dei Casalesi al nord, la più pericolosa perché in grado di associare la vocazione imprenditoriale e finanziaria al potere intimidatorio e alla capacità di tessere relazioni. L’ultimo assalto alla diligenza si chiama ricostruzione post-terremoto all’Aquila, dove è stata esclusa dalle gare un’impresa sospettata di legami coi boss Michele e Pasquale Zagaria e già aggiudicataria di commesse finanziate dal Governo.

Ma le basi logistiche oggi sono le ricche Parma e Modena, moderne Casapesenna e San Cipriano d’Aversa, crocevia per il riciclaggio e gli investimenti. Proprio in queste terre, le indagini delle Dda di Napoli e di Bologna hanno scoperchiato gli intrecci-tipo che assicurano lunga vita ai Casalesi. Una su tutte, l’inchiesta del Pm Raffaele Cantone che ha portato alla condanna del primo imprenditore del nord per il reato di associazione mafiosa, il parmigiano Aldo Bazzini, a braccetto con ‘Bin Laden’ Pasquale Zagaria. La joint venture stava per realizzare una maxi-speculazione edilizia a Milano, in zona Navigli. Eppure nel marzo 2009 c’è ancora chi, come il prefetto della città ducale Paolo Scarpis, definisce “sparate” le riflessioni di Roberto Saviano e nega le infiltrazioni descritte nei rapporti annuali di Dia e Commissione antimafia. Di recente in Emilia sono passati sotto silenzio fatti gravi, senza precedenti. Il dirigente di Confesercenti e del Pd modenesi Alberto Crepaldi, minacciato dai Casalesi per le sue denunce scomode, a giugno è stato licenziato e non è stato ricandidato alle elezioni. Il 30 agosto una trentina di casertani ha assaltato una caserma dei carabinieri per cercare di liberare il nipote del boss appena arrestato. Non a Casal di Principe, ma in un paesino al confine tra Modena e Bologna.

Antonio Bardellino Francesco Schiavone

Raffaele Diana

Antonio Bardellino

Francesco Schiavone

Raffaele Diana

LA COLONIZZAZIONE.

In principio furono i soggiorni obbligati, la ‘cagnotta’ chiesta ai conterranei emigrati, il gioco d’azzardo e i night club. Modena negli anni Ottanta è già a pieno titolo la succursale dei Casalesi, gestita dalla famiglia di Francesco ‘Sandokan’ Schiavone tramite i capizona Giuseppe Caterino e Raffaele Diana. Costruttori monopolisti nel calcestruzzo, riscossori di tangenti a suon di spari e incendi nei cantieri, trafficanti di droga, armi e rifiuti, riescono presto a far piazza pulita della concorrenza: alcuni pregiudicati vengono assoggettati, altri levano le tende come il capo della mala del Brenta Felice Maniero, la ‘ndrangheta cutrese infiltrata nella vicina Reggio Emilia firma un patto che ne limita il raggio d’azione. Anche quando espandono i traffici in Romagna, Veneto e Lombardia i proventi finiscono nel feudo dell’agro aversano gestiti da congiunti dei boss latitanti o detenuti. Dalla mafia pre-corleonese di Bontate (con cui il capo storico Antonio Bardellino strinse un’alleanza in chiave anti-cutoliana) hanno mutuato la struttura verticistica piramidale e la propensione alla trattativa per fare affari. Mentre le vittime predestinate vengono freddate al ritorno in Campania (per l’Antimafia potrebbe essere legato a traffici emiliani anche l’omicidio di Giuliano Soverato, trovato cadavere il 25 settembre scorso a Gricignano di Aversa), al nord il clan usa la violenza solo come extrema ratio: nel Modenese si contano le raffiche di mitra del 1991 contro i rivali De Falco (la camorra perdente) e la gambizzazione nel maggio 2007 di Giuseppe Pagano, imprenditore casertano ‘reo’ di aver testimoniato contro Raffaele Diana, detto “Rafilotto”. Anche in carcere sembrano tornati i tempi di Don Raffaé: nel 2004 Diana, approfittando di un permesso, inizia la latitanza terminata lo scorso maggio nel bunker di Casal di Principe, mentre i suoi fedelissimi Antonio Pagano e Nicola Nappa – scoprirà poi la squadra Mobile di Modena – continuano per anni a gestire gli affari grazie a secondini corrotti.

OMERTÀ DELLA PAURA, E DELLA CONVENIENZA. I re del mattone, affaristi lungimiranti e camaleontici, per entrare nel circuito economico legale allargano la zona grigia dell’estorsione light e dei favori, coinvolgendo gli emiliani. Come gestori di bische clandestine, prestanome di licenze commerciali e beni, imprenditori che partecipano alla spartizione degli appalti pilotati. L’azienda capofila vince con l’offerta al massimo ribasso, a fronte di ritiri o proposte inaffrontabili delle altre ditte edili che poi vengono fatte lavorare coi subappalti. “È solo convenienza apparente – ricorda il Comandante provinciale dei carabinieri di Modena, colonnello Salvatore Iannizzotto – chi fa affari con la camorra, oltre al fatto di incorrere in gravi reati, finisce strozzato in termini di usura o altra forma”. Le ‘vittime’ di quei patti col diavolo sono in aumento e oggi, col credito delle banche sempre meno accessibile, la crisi economica diventa un’occasione d’oro per chi gode di liquidità illimitata e contatti giusti. È la nuova generazione dei Casalesi in giacca e cravatta, che si presenta coi cantieri a norma e i pool d’avvocati, pronta a finanziare le sagre di paese e a sistemare gratis la stradina del centro, perché favore chiama favore, strizzatina chiama cecità. Società dalle origini indefinite che tessono relazioni politiche e stringono alleanze con grandi gruppi, dalle catene alberghiere ai locali più chic, dall’alimentare al finanziario, sempre ai danni della libera concorrenza e dei cittadini onesti. Uno scellerato ‘do ut des’ ch e portò coop emiliane a ottenere improbabili appalti al sud e marchi come Parmalat e Cirio a diventare monopolisti del latte nelle terre del Clan (condannati i concessionari locali, estranei i vertici), nonché agli affari sulla direttrice Casapesenna-Parma, lasciapassare per la conquista di Milano. Il 9 dicembre dovrebbe arrivare la sentenza d’Appello per l’imprenditore Aldo Bazzini e il cognato Pasquale Zagaria, condannati col rito abbreviato rispettivamente a 3 anni e 4 mesi e a 8 anni. Il superlatitante Michele Zagaria invece è stato assolto dal Tribunale perché non è stato ritenuto provato il suo ruolo diretto nel trasporto a Parma dei 500.000 euro dati in pegno all’Unicredit (poi sequestrati dall’autorità giudiziaria) per finanziare l’acquisto dei lotti del capannone ex Mondadori, in zona Navigli. L’importante lavoro degli inquirenti prosegue in stretto raccordo da sud a nord (di recente la Finanza ha sequestrato tra Modena e Caserta beni riconducibili a Vincenzo Zagaria, i carabinieri hanno messo le mani su società bolognesi al servizio di Diana) ma resta una goccia nel mare miliardario della ‘Camorra spa’, un cancro invincibile se non sarà affrontato da tutti i soggetti, istituzionali ed economici. Il Prefetto dell’Aquila in settembre ha escluso la “Fontana Costruzioni” dalla maxi-commessa per la ricostruzione del dopo terremoto. Segnalata come vicina a ‘Bin Laden’ e al fratello, è la stessa Fontana costruzioni che si era aggiudicata appalti finanziati dai Ministeri della Giustizia e degli Interni, per il restyling delle aule bunker del carcere di Poggioreale e di un fabbricato strappato ai Clan nel Napoletano.

IL SILENZIO DI POLITICA E MEDIA. Il Governo impedisce lo scioglimento del Comune di Fondi per infiltrazioni mafiose e vara lo scudo fiscale che, come nel 2002, consentirà di legalizzare anonimamente soldi sporchi fermi all’estero. Inoltre annovera tra i suoi componenti il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, indicato da quattro pentiti come referente dei Casalesi e che è anche candidato alla presidenza della Regione Campania. Ma anche quando non fa danni né commette reati, la politica non considera una priorità la lotta alle mafie, perdendosi nei dibattiti su ronde e microcriminalità. In Emilia, chi ha parlato della necessità di una presa di coscienza e di controlli seri sugli appalti, ha ricevuto due proiettili in busta chiusa. In passato era accaduto al consigliere regionale di Sinistra Democratica Massimo Mezzetti ma nei mesi scorsi, quando la stessa grave intimidazione è toccata al dirigente modenese di Confesercenti e del Pd Alberto Crepaldi, si è registrato un isolamento inquietante. Non solo ha perso il posto – prima sospeso e poi licenziato per ragioni ora al vaglio del giudice del lavoro – ma non è stato neppure ricandidato alle amministrative nonostante un’importante raccolta di firme. “Ho avvertito una freddezza crescente dei vertici locali del partito attorno al mio caso – ha affermato di recente Crepaldi ora assunto in Confcommercio – continuerò il mio lavoro di sempre, ponendo al centro i temi della legalità”. Un altro grave episodio è stato l’assalto del 30 agosto alla caserma dei Carabinieri di Sant’Agata, nel bolognese. Una trentina di casertani ha circondato i militari, tra minacce e insulti, pretendendo la liberazione di Gianluca Simonetti, ventiduenne nipote del capoclan ergastolano Luigi Venosa, arrestato poco prima in un bar per aver pestato assieme a due amici un giovane senegalese. Un’esplosione di violenza sintomatica di un’alta densità camorristica il cui Dna – nonostante la strategia della sommersione – riaffiora nello sprezzo per le leggi e i loro tutori. Solo l´intervento in forze delle gazzelle del capoluogo ha permesso di evitare il peggio. I più esagitati sono stati denunciati mentre il Gip ha convalidato l’arresto di Simonetti disponendo la custodia cautelare ai domiciliari nel Casertano. Il sindaco di Sant´Agata, Daniela Occhiali, ha lamentato il black-out degli organi d’informazione. Ne ha parlato però l’Antefatto. Dopo l’articolo, il sindaco ha incontrato il Prefetto.

Da “Il Fatto Quotidiano” (di Stefano Santachiara)

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