Boffo si dimette: “La mia vita violentata”

di Redazione

Dino BoffoROMA. Il direttore di Avvenire, Dino Boffo, si è dimesso. Boffo ha lasciato con una lettera inviata al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, editore del quotidiano.

L’addio arriva dopo che Il Giornale di Vittorio Feltri sette giorni fa ha rivelato una vicenda giudiziaria che aveva coinvolto Boffo fra il 2001 e il 2002.

“Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora per giorni e giorni una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani”, scrive Boffo nella lettera a Bagnasco nella quale presenta le dimissioni “irrevocabili” e “con effetto immediato” sia da Avvenire che dalla tv dei vescovi Tv2000 e da Radio Inblu. “La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere”.

Boffo oggi aveva pubblicato oggi su Avvenire un elenco di “dieci falsità” attribuite al Giornale. Nella rubrica “«il direttore risponde”, che affianca una pagina e mezza di lettere di solidarietà come accade da alcuni giorni, il giornalista contesta una per una le accuse emerse in questi giorni, scegliendo una formula che ricorda le “dieci domande” di Repubblica al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Queste le 10 osservazioni del direttore del quotidiano dei vescovi: primo, la definizione di “noto omosessuale” non trova alcun riscontro nei documenti giudiziari. Secondo, Boffo non è stato “attenzionato” per le suddette inclinazioni, come ha chiarito il ministro dell’Interno, negando che esista alcuna forma di “schedatura”. Terzo, non c’è mai stata una querela contro Boffo da parte di una signora di Terni, perché la denuncia era stata presentata “contro ignoti da soggetti che ben conoscevano Boffo e la voce di Boffo e che, quando hanno scoperto che era stato ipotizzato il coinvolgimento del cellulare in uso al suo ufficio, hanno rimesso la querela”. Quarto, non ci sono mai state intercettazioni, ma solo tabulati delle telefonate partite da un cellulare di Boffo. Quinto, il direttore di Avvenire conosceva la donna vittima delle molestie, che avrebbe quindi riconosciuto la sua voce se fosse stato lui a fare quelle chiamate. Sesto, non è vero che Boffo ha scaricato le accuse su una terza persona, ma ha solo dichiarato ai magistrati che quel telefono avrebbe potuto essere utilizzato da altri. Settimo, non ci sono state “intimidazioni” né “molestie a sfondo sessuale”, parola semmai riferita negli atti, come ha specificato il gip di Terni, ai rapporti tra la donna e il suo compagno.

Falso è anche, secondo il direttore di Avvenire, che lui si sia mai detto colpevole offrendosi di patteggiare la pena. “Boffo non ha patteggiato alcunché e ha sempre rigettato l’accusa di essere stato autore di telefonate moleste”. Aveva invece pagato l’ammenda ritenendola “una semplice remissione amministrativa conseguente agli effetti della remissione della querela”.

Econtesta di aver mai reso pubbliche “ricostruzioni” della vicenda, né chiamato in causa “nessun’altra persona, nessun ente e istituzione” e “nonostante il pesantissimo attacco diffamatorio del Giornale non intende consegnare niente e nessuno al tritacarne mediatico da questo generato e coltivato”. Infine, Boffo ribadisce che la “nota informativa” citata dal Giornale altro non è che “una lettera anonima diffamatoria”.

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