Caserta, latitante dei casalesi arrestato in Ungheria

di Redazione

Giancarlo De Luca CASERTA. Gli accordi di cooperazione internazionale tra le polizie dei paesi dell’Unione Europea hanno consentito alla polizia ungherese ed agli agenti della Squadra mobile di caserta, diretta dal vicequestore Rodolfo Ruperti, …

… di trarre in arresto in Ungheria il latitante Giancarlo De Luca di 59 anni, di Casal di Principe, sfuggito alla cattura lo scorso 17 luglio nell’ambito dell’operazione denominata “Clan Cut”.

Le serrate indagini condotte dalla Squadra Mobile di Caserta nei confronti dei familiari del latitante portavano ad acquisire la convinzione che lo stesso, accompagnato da uno stretto congiunto, si fosse allontanato dall’Italia verso l’Europa dell’Est. Tramite il servizio centrale operativo della Polizia di Stato e il servizio Interpol venivano allertati i collaterali uffici di polizia al fine di intensificare i controlli alle frontiere anche nei confronti degli stessi cittadini comunitari che, come è noto, hanno libera circolazione in ambito Schengen. L’iniziativa aveva successo poiché, al confine tra la Romania e l’Ungheria, De Luca veniva fermato a bordo di una Bmw 5 touring unitamente al figlio Tommaso De Luca, di 21anni, ed a un altro giovane incensurato originario di Napoli.

De Luca, trattenuto presso gli uffici della polizia magiara, è stato dichiarato in “arresto provvisorio”, già convalidato dalle autorità giudiziarie ungheresi. Nei prossimi giorni sarà tradotto in Italia da funzionari della squadra mobile di Caserta e dell’Interpol di Roma. De Luca, colpito da ordinanza di custodia cautelare emessa dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, era sfuggito alla cattura il 17 luglio quando la squadra mobile di Caserta aveva eseguito provvedimenti restrittivi di fermo emessi dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli nei confronti di pericolosissimi soggetti ritenuti affiliati e/o contigui al clan dei casalesi gruppo Bidognetti.

Le indagini traevano spunto dalle attività investigative finalizzate alla cattura di Franco Letizia, lo scorso 19 maggio, dalla Squadra mobile casertana, con l’ausilio di unità specializzate del servizio polizia scientifica del dipartimento della pubblica sicurezza, da equipaggi dei reparti prevenzione crimine e dell’8° reggimento Bersaglieri, proprio perché lo stesso Letizia era inserito nell’elenco dei 100 latitanti di massima pericolosità redatto dal ministero dell’interno. Letizia, latitante da oltre un anno, ed individuato in un’abitazione di via Cilea a San Cipriano d’Aversa, era considerato il reggente del clan Bidognetti dopo la cattura di Giuseppe Setola ed anche nei suoi confronti era stato eseguito decreto di fermo per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. L’individuazione del rifugio di Letizia era frutto di una prolungata attività investigativa, coordinata dalla procura distrettuale di Napoli e supportata da servizi tecnici, che consentiva di acquisire gravissimi elementi indiziari, talora vere e proprie confessioni involontarie “stragiudiziali” – provenienti dal gruppo dei soggetti maggiormente vicini a Letizia, per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso e di estorsione aggravata con il metodo mafioso. Peraltro successive perquisizioni domiciliari avevano permesso di rinvenire e sequestrare numerosi “pizzini” ritenuti di notevole interesse investigativo. Ulteriore compendio alle indagini effettuate proveniva dalle dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia affiliati fino a poco tempo fa al gruppo Bidognetti ed a Setola.

Le attività investigative hanno dunque offerto un importante scorcio sugli assetti, sulle alleanze e sulle tecniche criminali praticate dai camorristi del gruppo Bidognetti, tutt’ora proficuamente attivo nel settore delle estorsioni malgrado gli affanni e le difficoltà conseguenti ai numerosi arresti ed all’offensiva delle forze di polizia che negli ultimi mesi aveva portato all’arresto, in successione, tutti i capi che sono subentrati alla guida del clan. dalle indagini era risultato che la frangia bidognettiana, allo stato, sembrava talmente disarticolata da non riuscire nemmeno a garantire lo “stipendio” a tutti gli affiliati. In particolare, a fronte dei circa 130.000 euro mensili “programmati” e necessari a garantire un minimo mantenimento a tutti gli affiliati, ne veniva raccolto a stento un terzo, a malapena sufficiente a corrispondere lo stipendio solo ai personaggi più rappresentativi. Le indagini, dunque, avevano consentito non solo di acquisire indiscutibili e concludenti elementi di prova sull’appartenenza a consorterie di stampo camorristico dei predetti indagati e sulle attività illecite di natura estorsiva condotte sistematicamente sul territorio, ma anche di chiarire ulteriormente alcuni aspetti relativi alle motivazioni della scomparsa e del conseguente triplice omicidio – vicenda già ampiamente sviscerata nel provvedimento giudiziario di fermo emesso dalla procura distrettuale antimafia – in pregiudizio di Giovanni Battista Papa, Modestino Minutolo e Francesco Buonanno, anche loro dediti ad attività estorsive nell’ambito dei bidognettiani capeggiatio da Letizia, mal tollerate da altre “famiglie” del clan dei casalesi, in questo momento prevalenti.

Nel corso dell’operazione, assieme a Letizia, erano stati tratti in arresto: Carlo Corvino, 39 anni, di Casal di Principe; Francesco Diana, 30 anni, di Villa Literno; Annibale Tummolo, 42 anni di Cancello ed Arnone; Antonio Caterino, 30 anni, di Casapesenna.

Per quanto attiene alla figura Giancarlo De Luca, dalle indagini era emerso che era il collettore della raccolta delle estorsioni per conto del clan Bidognetti nell’area di Cancello Arnone e comuni limitrofi.

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