PIGNATARO. Una storia tragica, a lieto fine. La storia della famiglia Vastano. Una famiglia del casertano che nel luglio del 1956 scelse la via dellemigrazione.
Non vi erano prospettive per il futuro, e quindi la speranza di assicurare ai figli un avvenire migliore. Una scelta radicale, quella fatta da Andrea Vastano – una moglie, due figli, una femminuccia di otto anni – e Pasquale, un giovane 18enne. Parto, vado in America, non ci vedremo più- amava ripetere Pasquale ai cari amici e conoscenti. E il giorno della partenza arrivò. Simbarcò con la famiglia sullAndrea Doria (51° viaggio verso la rotta per New York. Mai avrebbe immaginato di essere testimone di una grande tragedia. Il viaggio doveva durare nove giorni. Il 17 luglio 1956 (lAndrea Doria), ore 11, parte da Genova. Due giorni dopo lancoraggio nel porto di Napoli, dove imbarca un folto numero di emigranti. Il 20 luglio arriva a Gibilterra, da dove riparte, lasciandosi alle spalle il Mediterraneo e avviandosi verso lAtlantico. Millecentotrentaquattro i passeggeri a bordo, 190 di prima classe,
QUEI TERRIBILI MOMENTI Erano le 23:30 circa: Mi trovavo in cabina (ponte C, sotto il livello dell’acqua) (ricordo come se fosse successo tutto ieri – ma sono trascorsi 60 anni) – dopo aver visto un film francese di cui non ricordo il titolo, ero da poco andato a letto- racconta Pasquale Vastano. Pochi attimi e si scatena linferno, un forte boato, sentii le pareti della cabina vibrare, mi ritrovai disteso sul pavimento. Mi rialzai a fatica, riuscii ad accendere la luce, mio padre, che dormiva mi riprese per il chiasso, credendo che fosse dovuto al mio ritorno in cabina. Non era così. Vidi lacqua nel corridoio. Circa un metro dacqua. La nave era alla deriva. Scappai di corsa verso la prua. E dire che il giorno prima- avevamo simulato un salvataggio- utilizzando i salvagente. Per risalire dal ponte C fino alla seconda classe impiegai uneternità: almeno un’ora. Vidi persone pregare, altre urlare in preda al panico. Tutti correvano disperati in cerca di una difficile salvezza. Intanto dal soffitto dei corridoi cadevano grossi pezzi di travi. Una intera per poco non mi colpì. Arrivai stremato sul ponte. Sentii alcuni membri dellequipaggio urlare che avrebbero cercato di portate in salvo prima le donne ed i bambini. Cera con me Giacomino, compagno di sventura, che vorrei incontrare. Piero Calamari, il capitano della Doria – disse: che i bambini e le donne- dovevano essere i primi a salvarsi, con salvagenti e scialuppe. Allora decisi di tuffarmi in acqua. Il sapore salato del mare si mischiava a quello di nafta che fuoriusciva dai serbatoi. Persi i sensi. Al risveglio mi ritrovai sulla nave Stockolm, quella che ci aveva speronati. Ero salvo.
NELLA LISTA DEI MORTI La nave, danneggiata dall’urto, giunse in America dopo un paio di giorni. Io ero nella lista dei morti. I miei familiari erano stati tratti in salvo dalla nave “Il de France”; sapendomi morto erano andati a casa di una zia che li avrebbe ospitati in attesa di una sistemazione definiva. Li raggiunse dopo due giorni. Indescrivibile fu la gioia dei miei cari, che avevano perso ogni speranza di riabbracciarmi. Nel 1962 tornai in Italia. Conobbi la moglie, il 18 novembre del 62, e la sposai 25 giorni dopo. Fu un colpo di fulmine. Oltre me la colpì anche la macchina americana che avevo portato dallAmerica. Ci sposammo e tornammo in America, dove rimanemmo fino alla fine degli anni ottanta, per poi fare ritorno nella natia Pigna, dove oggi viviamo circondato dallaffetto dei nostri cari. Da pochi mesi siamo diventati anche bisnonni, tramite nostra nipote Miriana. Prima di morire mi piacerebbe incontrare Giacomino, quel ragazzo che condivise con me il viaggio e il tragico naufragio della nostra nave.
inviato dal giornalista Giuseppe Sangiovanni