Il racconto di Pasquale, superstite dell’Andrea Doria

di Redazione

Andrea VastanoPIGNATARO. Una storia tragica, a lieto fine. La storia della famiglia Vastano. Una famiglia del casertano che nel luglio del 1956 scelse la via dell’emigrazione.

Non vi erano prospettive per il futuro, e quindi la speranza di assicurare ai figli un avvenire migliore. Una scelta radicale, quella fatta da Andrea Vastano – una moglie, due figli, una femminuccia di otto anni – e Pasquale, un giovane 18enne. “Parto, vado in America, non ci vedremo più”- amava ripetere Pasquale ai cari amici e conoscenti. E il giorno della partenza arrivò. S’imbarcò con la famiglia sull’Andrea Doria (51° viaggio verso la rotta per New York. Mai avrebbe immaginato di essere testimone di una grande tragedia. Il viaggio doveva durare nove giorni. Il 17 luglio 1956 (l’Andrea Doria), ore 11, parte da Genova. Due giorni dopo l’ancoraggio nel porto di Napoli, dove imbarca un folto numero di emigranti. Il 20 luglio arriva a Gibilterra, da dove riparte, lasciandosi alle spalle il Mediterraneo e avviandosi verso l’Atlantico. Millecentotrentaquattro i passeggeri a bordo, 190 di prima classe, 267 in seconda classe e 677 in classe turistica. Tutto normale a bordo, mare calmo e senza vento. La nave dotata di ogni comfort (bar, cinema, sale da ballo, sale da giochi e l’orchestrina che suonava i motivi all’epoca più in voga. La nave era attesa per il 26 luglio a New York. Giovedì 25 luglio, alcuni viaggiatori erano impegnati a sistemare i bagagli per il giorno successivo. Per l’atteso sbarco. La nave avvolta sempre di più da una fitta coltre di nebbia, ancora più impenetrabile per l’oscurità della notte. Alle 23,22 la sala radio dell’Andrea Doria lancia un tragico messaggio: S.o.s. Andrea Doria and Stockolm Collided 11,22 Local Time Lat.40-30 N.6953 W. Seguirono messaggi radio concitati. Le navi in vicinanza invertirono la rotta. Accorse la nave Ile de France, Guardia Coste da Boston e da New York. Iniziò così la più grande operazione di salvataggio del dopoguerra. La nostra nave (ndr. Andrea Doria) – racconta Pasquale – era stata investita dalla Stockolm subendo danni irreparabili. La prua della nave norvegese, costruita in acciaio, per i mari norvegesi, demolì le cabine dal n. 424 al 432. S’inclinò paurosamente sul lato destro, imbarcando velocemente tonnellate d’acqua. Centocinquantaquattro, i morti. Mio padre, mia madre e mia sorella furono salvati dall’Ile de France. Io mi gettai in mare, e fui salvato e recuperato dalla stessa nave investitrice che, pur danneggiata raggiunse il porto di New York, dove fortunatamente riuscimmo a ritrovarci e riunirci. “Da quel giorno festeggio il compleanno non più quando sono nato, ma il 26 luglio. Il giorno della tragedia, quando sono nato per la seconda volta”.

QUEI TERRIBILI MOMENTI Erano le 23:30 circa: ”Mi trovavo in cabina (ponte “C”, sotto il livello dell’acqua) – (ricordo come se fosse successo tutto ieri – ma sono trascorsi 60 anni) – dopo aver visto un film francese di cui non ricordo il titolo, ero da poco andato a letto- racconta Pasquale Vastano. Pochi attimi e si scatena l’inferno, un forte boato, sentii le pareti della cabina vibrare, mi ritrovai disteso sul pavimento. Mi rialzai a fatica, riuscii ad accendere la luce, mio padre, che dormiva mi riprese per il chiasso, credendo che fosse dovuto al mio ritorno in cabina. Non era così. Vidi l’acqua nel corridoio. Circa un metro d’acqua. La nave era alla deriva. Scappai di corsa verso la prua. E dire che il giorno prima- avevamo simulato un salvataggio- utilizzando i salvagente. Per risalire dal ponte “C” fino alla seconda classe impiegai un’eternità: almeno un’ora. Vidi persone pregare, altre urlare in preda al panico. Tutti correvano disperati in cerca di una difficile salvezza. Intanto dal soffitto dei corridoi cadevano grossi pezzi di travi. Una intera per poco non mi colpì. Arrivai stremato sul ponte. Sentii alcuni membri dell’equipaggio urlare che avrebbero cercato di portate in salvo prima le donne ed i bambini. C’era con me Giacomino, compagno di sventura, che vorrei incontrare. Piero Calamari, il capitano della Doria – disse: che i bambini e le donne- dovevano essere i primi a salvarsi, con salvagenti e scialuppe. Allora decisi di tuffarmi in acqua. Il sapore salato del mare si mischiava a quello di nafta che fuoriusciva dai serbatoi. Persi i sensi. Al risveglio mi ritrovai sulla nave Stockolm, quella che ci aveva speronati. Ero salvo”.

NELLA LISTA DEI MORTI La nave, danneggiata dall’urto, giunse in America dopo un paio di giorni. Io ero nella lista dei morti. I miei familiari erano stati tratti in salvo dalla nave “Il de France”; sapendomi morto erano andati a casa di una zia che li avrebbe ospitati in attesa di una sistemazione definiva. Li raggiunse dopo due giorni. Indescrivibile fu la gioia dei miei cari, che avevano perso ogni speranza di riabbracciarmi. Nel 1962 tornai in Italia. Conobbi la moglie, il 18 novembre del ’62, e la sposai 25 giorni dopo. Fu un colpo di fulmine. Oltre me la colpì anche la macchina americana che avevo portato dall’America. Ci sposammo e tornammo in America, dove rimanemmo fino alla fine degli anni ottanta, per poi fare ritorno nella natia Pigna, dove oggi viviamo circondato dall’affetto dei nostri cari. Da pochi mesi siamo diventati anche bisnonni, tramite nostra nipote Miriana. Prima di morire mi piacerebbe incontrare Giacomino, quel ragazzo che condivise con me il viaggio e il tragico naufragio della nostra nave.

inviato dal giornalista Giuseppe Sangiovanni

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