Sei mesi vissuti in 3 metri quadri, l’Italia deve risarcire un detenuto

di Redazione

 ROMA. Izet Sulejmanovic, bosniaco, per alcuni mesi recluso nel carcere di Rebibbia, è stato riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo vittima di “trattamenti inumani e degradanti”.

In virtù di questa sentenza, giunta dopo il ricorso presentato dallo stesso detenuto, l’Italia è stata condannata a risarcire l’uomo con una somma pari a mille euro.

Secondo quanto accertato dalla corte, Sulejmanovic ha condiviso tra il novembre 2002 e l’aprile 2003 una cella di 16,20 metri quadri con altre cinque persone disponendo, dunque, di una superficie di 2,7 metri quadri entro i quali ha trascorso oltre diciotto ore al giorno. Una superficie, rileva la corte, molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che fissa in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. La situazione per il detenuto è poi migliorata essendo stato trasferito in altre celle occupate da un minor numero di detenuti, fino alla sua scarcerazione nell’ottobre del 2003.


“Poiché in Italia i detenuti (circa 64 mila) che vivono in condizioni di sovraffollamento sono la quasi totalità – dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione ‘Antigone’ che si batte per i diritti nelle carceri – lo Stato rischia di dover pagare 64 milioni di euro di indennizzi”. “La condanna dell’Italia da parte della corte dei diritti dell’uomo – aggiunge Gonnella – impone al governo soluzioni definitive per le carceri e mette definitivamente fuori legge l’attuale gestione del sistema penitenziario”.

Franco Ionta, capo dell’attuale Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, si limita ad osservare che “i mille euro sono di equo indennizzo perché l’arco temporale sofferto dal ricorrente è stato molto limitato. La condizione carceraria del bosniaco, tra l’altro, viene definita più che accettabile (anche dal punto di vista dell’assistenza sanitaria) visto che il detenuto trascorreva almeno dieci ore al giorno fuori dalla cella per svolgere altre attività. Personalmente non mi risultano ricorsi dello stesso genere pendenti davanti alla Corte di Strasburgo e non credo che casi denunciati dal detenuto bosniaco siano oggi così diffusi in Italia”.

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