21 arresti nell’operazione “Scala Reale”: sgominato clan Amato

di Redazione

 SANTA MARIA CAPUA VETERE. Nelle prime ore della mattinata odierna, i Carabinieri della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere hanno dato esecuzione a 21 decreti di fermo del pm emessi dalla Dda di Napoli nei confronti di altrettante persone indagate per “associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, usura, illecita concorrenza con violenza e minaccia ed altro”.

L’indagine è stata avviata agli inizi di quest’anno con la finalità di disarticolare un’organizzazione criminale di tipo camorristico, dedita all’imposizione di videopoker negli esercizi commerciali ubicati prevalentemente in Santa Maria Capua Vetere e nei comuni limitrofi. Attraverso riscontri ed attività tecniche, si è accertato che i componenti di tale organizzazione che era gerarchicamente strutturata con al vertice il pregiudicato locale Salvatore Amato, 53 anni, coadiuvato da quattro luogotenenti con alle dipendenze manovalanza autoctona, albanese e rumena. Oltre ai reati di associazione a delinquere e minacce la banda si scontrava frequentemente con altre gruppi criminali del posto, avvalendosi anche dell’utilizzo di armi, per affermare in maniera crescente il loro controllo del territorio.

Tale situazione aveva inciso notevolmente sulla situazione dell’ordine e della sicurezza pubblica nel comune di Santa Maria Capua Vetere, tanto da indurre l’Amministrazione locale a portare la vicenda all’attenzione delle Autorità provinciali di Polizia di Stato. Il gruppo criminale otteneva guadagni molto ingenti attraverso l’imposizione dei videopoker, non solo nei bar, ma anche all’interno di altre attività commerciali aperte al pubblico, quali rivendite tabacchi, edicole, negozi di frutta e verdura, ecc., estromettendo altre ditte concorrenti; attraverso la truffa perpetrata ai danni dei giocatori attraverso la possibilità di controllo “da remoto” delle vincite, sempre percepite da soggetti inviati a tal uopo dall’organizzazione presso le attività commerciali ove la macchinetta stava per raggiungere il livello di “saturazione”, truffando, di conseguenza, anche i Monopoli di Stato mediante la manomissione del funzionamento delle schede per apparecchiature videopoker e infine altri guadagni avvenivano attraverso il reimpiego del denaro percepito in prestiti concessi ad elevatissimo tasso usurario, in maniera generalizzata. Il livello di violenza e di pericolosità esercitato dalla banda era talmente elevato ed indiscriminato che le vittime di brutali spedizioni punitive potevano essere non soltanto i titolari di attività commerciali presso cui erano imposti i videopoker o i debitori che non riuscivano a pagare gli interessi usurari o gli appartenenti a gruppi criminali opposti, ma qualsiasi cittadino che fosse venuto in contrasto con uno dei componenti, fosse anche soltanto per una questione di viabilità o per uno sguardo di troppo. Oltre ai provvedimenti di cattura, sono stati eseguiti i sequestri di un centinaio di apparecchi videopoker, dodici autovetture, conti correnti bancari ed un bar, tutti riconducibili al gruppo criminale. La figura di spicco in questa operazione è quella del 53enne pregiudicato Amato che, già in passato, ha avuto stretti legami con il clan Belforte di Marcianise. Nel marzo ’99 suo figlio Carlo fu selvaggiamente ucciso durante il “Mak P” del Liceo Scientifico, festa cui parteciparono anche rampolli di esponenti di vertice del clan dei Casalesi.

A Santa Maria Capua Vetere Amato ha sempre goduto di una sostanziale autonomia che gli ha permesso di crearsi un proprio gruppo criminale, mascherato dietro il “paravento legale” delle imprese specializzate nella distribuzione di videopoker. Le modalità con cui veniva esercitata tale attività imprenditoriale gli hanno consentito di accumulare nel corso degli anni introiti milionari, di fronte ai quali impallidiscono anche i guadagni che altre organizzazioni criminali ottengono mediante attività illecite di altro genere, quali il traffico di droga o le estorsioni. Inoltre, il rischio di essere perseguiti dalla legge in questo ramo d’impresa era sicuramente minore alle attività criminose “tradizionali”, quindi il pregiudicato si professava imprenditore, con alle dipendenze una folta manovalanza di malviventi autoctoni, albanesi e rumeni, regolarmente assunti da un punto di vista legale, sempre pronti ad assecondare tutte le direttive del “capo”. Il capo-settore in questo caso era l’albanese Fatos Hasbajrami chiamato “Andrea” che Amato aveva accolto in casa propria come uno di famiglia dopo la morte del figlio Carlo. Con tali premesse, il gruppo criminale ha sempre più allargato il proprio campo d’azione, costringendo gran parte degli operatori commerciali del territorio a collocare nei propri esercizi le “macchinette” delle imprese riconducibili ad Amato, monopolizzando l’intero settore e confidando nella ovvia omertà dei titolari delle attività commerciali, il cui contributo in quest’attività d’indagine è stato pressoché inesistente. Nel mese di febbraio, inoltre, allorquando sono stati commessi dei furti all’interno di esercizi commerciali ove erano allocate alcune macchinette, il capo del gruppo ha predisposto “ronde notturne” attuate dai propri dipendenti con il compito di controllare che non fossero commessi ulteriori furti. Oltre ai guadagni percepiti attraverso la percentuale dovuta alle imprese concessionarie della distribuzione delle macchinette, l’organizzazione lucrava anche attraverso sistemi ingannevoli di controllo “da remoto” delle vincite: in pratica, avendo la possibilità di controllare attraverso terminali informatici quando una macchinetta era sul punto di erogare eventuali vincite, fiancheggiatori dell’organizzazione venivano inviati a “giocare” su quel determinato apparecchio, fino a quando non percepivano la vincita. L’illusione dei tanti clienti che affidano al gioco le proprie speranze di vincita erano assolutamente vane: non avrebbero mai vinto. Tale “inganno” veniva, in alcuni casi, compiuto anche attraverso la complicità di qualche gestore di attività commerciale che ospitava la macchinetta, tenendo spento l’apparecchio fino a quando non fosse arrivato un adepto, al fine di evitare che terzi “impropriamente” potessero percepire la vincita.

Gli ingenti introiti derivanti da tale attività venivano quindi riutilizzati in prestiti concessi a tassi usurari elevatissimi: in particolare, specializzati nella “vendita dei soldi” erano i fratelli di Amato ed il convivente della figlia di uno di essi, il 26enne Antonio Barracano: soggetto altamente pericoloso per la violenza che accompagna quasi tutte le sue azioni. Vittime ne sono state in particolare i titolari di attività commerciali restii in un primo momento ad allocare le macchinette nei propri esercizi, e per tale motivo “persuasi” dal Barracano; coloro che non riuscivano a rispettare, anche di una mezz’ora, la scadenza dei pagamenti degli interessi usurari; chi malauguratamente avesse avuto con lui screzi per motivi banali, quali una mancata precedenza. In diverse circostanze, il gruppo criminale si è reso protagonista di spedizioni punitive di particolare gravità, di cui se ne riportano alcune a titolo esemplificativo: nel luglio 2008 furono distrutti macchinari e pestati due medici all’interno del locale Pronto Soccorso, ritenuti colpevoli di non aver prestato in maniera solerte le cure del caso ad uno dei fratelli di Salvatore Amato; il 26 febbraio 2009 furono arrestati undici componenti della banda che avevano attuato una spedizione punitiva al rione I.A.C.P. ai danni della famiglia Paolella; infine, il 6 maggio scorso tre nomadi furono selvaggiamente picchiati mentre sedevano davanti ad un bar poichè uno di essi aveva avuto una discussione con un componente della banda.

Nel panorama criminale della provincia casertana, Santa Maria Capua Vetere non ha mai avuto un vero e proprio clan federato alle organizzazioni camorristiche tradizionalmente dominanti in Terra di Lavoro: vi sono sempre stati gruppi criminali che hanno operato in condizione di “vassallaggio” sia nei confronti del clan dei Casalesi che nei confronti del clan Belforte di Marcianise; inoltre le estorsioni ad attività imprenditoriali e commerciali sono state commesse da pregiudicati provenienti ora da Casal di Principe, ora da Marcianise. E’ stato l’ultimo luogo di residenza del pregiudicato sanciprianese Sebastiano Caterino, assassinato nell’ottobre 2003, legato alla fazione perdente scissionista De Falco – Quadrano ed inoltre negli ultimi anni è diventato luogo di forte espansione economica della camorra casalese da un punto di vista edilizio, imprenditoriale e commerciale. In tale contesto, Salvatore Amato ha, con il tacito consenso dei clan tradizionali, imposto il suo predominio imprenditorial-criminale sulla città del Foro.

Con l’operazione eseguita dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere, si può senza ombra di dubbio affermare che è stato stroncato l’unico gruppo camorristico organicamente strutturato, con proprie basi e radici in Santa Maria Capua Vetere.

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