Camorra, “Rafilotto” trasferito a Torino al regime del 41 bis

di Redazione

Raffaele DianaCASAL DI PRINCIPE. Trasferito presso la nuova struttura penitenziaria di Torino l’esponente di spicco del clan dei casalesi Raffaele Diana, detto “Rafilotto”.

Il cinquantenne boss, figura “storica” del sodalizio criminale, affiliato alla Nuova Famiglia dai tempi di Antonio Bardellino, sarà sottoposto presso l’istituto di detenzione piemontese ai rigori del 41 bis, il regime di carcere duro previsto per soggetti ritenuti altamente pericolosi. Qui Diana dovrà scontare i due ergastoli, comminatigli in primo e secondo grado, nell’ambito del processo Spartacus, rispettivamente per il quadruplice omicidio, in concorso con altri, dei cutoliani Pagano, Mennillo, Orsi e Gagliardi e per il concorso in omicidio del nipote di Bardellino, Paride Salzillo.

Ma Raffaele Diana dovrà rispondere anche di altri delitti, fra cui quello del ferimento dell’imprenditore di Casapesenna, Giuseppe Pagano, avvenuto a Modena nel maggio del 2007; delitto del quale Diana è accusato di essere stato il mandante. Proprio Pagano, infatti, anni addietro, aveva denunciato il boss per delle estorsioni subite. Da qui il progetto di vendetta. I responsabili materiali della gambizzazione dell’imprenditore furono arrestati all’indomani del fatto e fra questi figurava anche il nipote del boss, Enrico Diana. Circa un anno dopo, nell’aprile 2008, per responsabilità di tipo organizzativo in riferimento alla spedizione punitiva, furono arrestati anche altri congiunti di Rafilotto, quali il fratello Mario Diana, il nipote acquisito Nicola Natale e il cugino Felice Pagano.

Raffaele Diana ha sviluppato parte della sua attività criminosa nel modenese, dove ha potuto contare negli anni di appoggi di varia natura. L’operazione “Zeus” che nel 2000 portò all’arresto del boss, decretandone il ruolo di capo di una banda dedicata in provincia di Modena alle estorsioni, pareva aver assestato un duro colpo alla carriera criminale di Rafilotto. Ma un permesso concessogli nel 2004 gli avrebbe inaspettatamente aperto le porte per una latitanza durata sino al 3 maggio del 2009, quando gli uomini della Squadra Mobile, guidata dal vicequestore Rodolfo Reperti, gli hanno stretto le manette ai polsi. Precisamente, Diana è stato trovato in una casa di via Torino a Casal di Principe, appartenenteun incensurato arrestato per favoreggiamento.

Il boss, all’irruzione dei poliziotti, coadiuvati all’esterno dell’abitazione dall’Esercito, si era nascosto nel doppio fondo di una scarpiera a muro, dalla quale è stato tirato fuori dagli stessi agenti. Con sé Diana aveva due armi, un pistola calibro 9×18 ed una 7,65. Di questi giorni il trasferimento al penitenziario piemontese e l’applicazione nei suoi confronti del 41 bis. Si chiude così, dunque, la storia criminale di Diana.

Una storia contrassegnata da fatti di sangue, come pure da avvenimenti significativi quali il famoso blitz di Santa Lucia, che vide l’arresto, presso l’abitazione dell’allora assessore al comune di Casal di Principe Gaetano Corvino, oltre dello stesso Diana, anche di altri esponenti della cupola casalese, quali Francesco Schiavone detto “Sandokan”, Francesco Bidognetti, Giuseppe Russo, Francesco Schiavone detto “Cicciariello” e Salvatore Cantiello.

Una storia, però, sulla quale gli uomini della Squadra Mobile di Caserta e le sentenze della magistratura hanno scritto la parola fine.

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