“Capo d’Orlando”, il premio Nobel Watson a Vico Equense

di Redazione

 VICO EQUENSE (Napoli). Nonostante il premio Nobel e le trenta lauree honoris causa non aveva mai ricevuto un riconoscimento in Italia prima di oggi.

Nelle sue mani, è adesso andato il “Premio Capo d’Orlando” durante la manifestazione organizzata dal Museo Mineralogico Campano e il Comune di Vico Equense. “Ho fatto di tutto per poter essere oggi qui, ci tenevo moltissimo”, ha affermato lo scienziato.

Oggi è tornato a Napoli dopo moltissimi anni, come l’ha trovata? “Sempre uguale. E’ il regno dei ritardi. Ricordo che tutto cominciava più tardi dell’ora stabilita, l’unica cosa puntuale era la ferrovia. Ancora oggi è così. E poi il traffico… Napoli era dura, lo è oggi e forse lo sarà sempre. Credo che questa città sia un mondo a sé, con i suoi pregi e suoi difetti. Io sono molto affezionato a questa terra perché ho trascorso gran parte del mio tempo nei laboratori della stazione zoologica Anthon Dohrn dove ho conosciuto delle persone eccezionali. Devo, infatti, gran parte del mio successo a Renato Dulbecco e Salvatore Luria, che in quel periodo mi hanno incoraggiato e sostenuto. Forse senza le loro parole non sarei mai diventato quello che sono oggi”.

 E Vico Equense? “Meravigliosa. La penisola sorrentina è un territorio fantastico e in questi giorni avrò modo di ammirarlo in tutti i suoi aspetti. Non ho ancora mangiato la pizza, ma lo farò presto. In compenso ho assaggiato spaghetti con le vongole, un piatto che adoro”.

Parliamo adesso dei suoi studi. Ha più volte affermato che ‘l’uomo avrà la meglio sui tumori’. Sarà davvero così? “Se si percorre la strada giusta, sì. Esiste un enzima chiave, chiamato M2, comune a tutte le cellule tumorali. E’ presente in noi durante una prima fase necessaria per lo sviluppo, ma può ripresentarsi in una seconda fase generando numerosi problemi all’organismo. Bisognerebbe intervenire al fine di inibire questo meccanismo, bloccando la crescita dell’enzima ed evitando la nascita di cellule cancerogene. Ma ci vorranno almeno dieci anni di studio prima che si possa trovare il rimedio giusto”.

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