Cineclub, il weekend con Gran Torino e Two Lovers

di Redazione

Gran Torino CASAGIOVE.Il film Che-Guerrilla sarà in programmazione al Cineclub Vittorianella seconda o terza settimana di maggio.

Il programma precedentemente annunciato si modifica come segue:Giovedì 30 AprileTwo Lovers di James Gray(16.00 – 18.30 – 21.15).Da Venerdì 1 a Martedì 5Maggio Gran Torino di Clint Eastwood. (Venerdì Sabato e Domenica 16.00 – 18.10 -20.20 -22.30 Lunedì e Martedì16.00 – 18.30 – 21.15).Due film imperdibili per farci perdonare questa imprevista variazione indipendente dalla nostra volontà.

TWO LOVERS

Un film di James Gray. Con Gwyneth Paltrow, Joaquin Phoenix, Vinessa Shaw, Isabella Rossellini, Elias Koteas, Moni Moshonov, John Ortiz, Bob Ari, Julie Budd. Genere Drammatico,Durata 100 minuti. – Produzione USA 2008.

Con Two lovers James Gray torna al suo habitat favorito (l’ ambiente ebraico di New York), riprende i temi che lo ossessionano, arruola il suo attore-feticcio, Joaquin Phoenix (che ha appena annunciato di voler lasciare lo schermo per la musica; meglio se si ricrederà: non ce ne sono molti col suo carisma). La novità è che il nuovo film è una storia d’ amore, ma raccontata come un noir. Il che ne fa un’ opera insolitamente suggestiva. Comincia con un tentativo di suicidio nelle acque dell’ Hudson. Salvato in extremis, Leonard è un “bamboccione” torturato che abita in famiglia, lavora di malavoglia nel lavasecco di papà, soffre di disturbi bipolari e non sa consolarsi per l’ abbandono della fidanzata. A compensarlo ne arrivano due nuove: la bruna Sandra – innamorata e protettiva – e Michelle, bionda nevrotica e dai nervi fragili che è un po’ il “doppio” del giovane. Il quale s’ innamora follemente di lei. I riferimenti sono alti: “Le quattro notti di un sognatore” di Dostoevskij; Shakespeare, per il senso della tragedia. Inseguendo fino in fondo il suo fantasma d’ amore, Leonard rinuncia a ogni orgoglio, poi a ogni speranza di una vita felice. Aperto da quel tentativo di suicidio che rende il protagonista un po’ “fantasma”, il film sembra volersi chiudere allo stesso modo. Gray, però, fa una tragedia: un finale può essere amaro anche senza spargimenti di sangue. Con film come questo o come “Revolutionary road”, il cinema americano subisce un’ imprevista metamorfosi, che può lasciare perplessa una parte del pubblico. Mentre prima tendeva a risolvere tutto nell’ “happy end” o nel dramma, ora cominciaa insinuare la minaccia nella vita quotidiana, tra le pareti domestiche: non il pericolo di aggressori esterni e serial-killer ma quello dei rapporti umani, per loro natura pericolosi. E quando il cinema lo capisce, diventa adulto.

GRAN TORINO

Un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, Austin Douglas Smith, John Carroll Lynch, William Hill, Chee ThaoGenere Drammatico, Durata 116 minuti. – Produzione USA 2008.

Un dinosauro metropolitano che digrigna la sua rabbia e il suo orgoglio. Con sicurezza, pazienza e ironia il settantottenne Clint Eastwood mette in scena se stesso in un microcosmo che riesce a riflettere non solo l’America, ma anche gran parte del mondo che ci circonda e non di rado ci angoscia. «Gran Torino» è un film volutamente piccolo e minuzioso, riflessivo ma attraversato da furiose acmi d’azione, in apparenza divagante e accomodante ma in sostanza compatto e severo. C’è un’eco dello stile e della struttura dei classici di John Ford nell’itinerario del protagonista Kowalski, un «uomo tranquillo» arroccato in una casetta dei sobborghi multietnici di Detroit in cui si fronteggiano temibili gang di teppisti: esibendo una maschera di pietra antica e un eloquio di carta vetrata ai limiti dell’auto-caricatura, il vecchio Clint infonde nel personaggio il primitivo senso della morale e della giustizia ereditati dall’intera carriera. Veterano della guerra in Corea, operaio in pensione e fresco vedovo, Kowalski disprezza figli e nipoti, detesta l’umanità circostante e desidera solo sorseggiare birra seduto sul patio su cui sventola il vessillo Usa e rimirarsi la Ford Gran Torino del ’72 che cura con maniacale devozione. Sempre a un passo dallo scontro fisico con la famigliola dei vicini «hmong» (popolazione asiatica profuga della Cina e dell’Asia sud-orientale), si ritrova tra i piedi, come risarcimento di un tentato furto, il timido adolescente Tao nei confronti del quale da misantropo boss si trasforma prima in incuriosito e lungimirante mentore e poi in generoso padre di complemento. Sembrerebbe un apologo eccessivamente buonista, ma le tematiche che scaturiscono dalla regia asciutta e lineare sono più profonde e complesse: l’eterna competizione tra vecchi e giovani, il senso della responsabilità collettiva che confligge con quella individuale, la difficile e a volte impossibile coesistenza tra comunità estranee, il ricorso alla violenza che oscilla tra gratuita bestialità e indispensabile autodifesa. Lo show dell’attore è, ovviamente, il perno su cui ruota questo gioco di rifrazioni psicologiche e comportamentali: perfettamente a suo agio come icona americana, l’ex pistolero di Sergio Leone ne riesce tuttavia a incarnare tutte le sfumature, da quelle arcigne a quelle comiche, da quelle naif a quelle psicotiche, da quelle meschine a quelle sublimi. Per come inizia e finisce «Gran Torino» potrebbe certo alludere a una prova testamentaria, ma un altro jolly è costituito dalla chiave espressiva con la quale Clint-Kowalski schiva l’incombente retorica, si nega all’invettiva apocalittica e guarda, invece, alla fine (di se stesso, del personaggio, di un tipo di cinema e di società) con la sublime leggerezza di un eroe scespiriano. Valerio Caprara (Il Mattino)

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