Aversa sempre più vittima del racket del pizzo

di Nicola Rosselli

 AVERSA. Boom, boom. Due boati nella notte, il 16 e il 18 aprile scorsi, hanno riaperto una piaga che Aversa sembrava aver dimenticato: il racket del pizzo, “’a tangent” come la chiamiamo dalle nostre parti.

Ad essere presi di mira dai taglieggiatori lo storico Bar Brasilena, nella centralissima via Roma, ed il Ferramenta Fabozzi, in via Bisceglia, al Borgo. Una piaga che avevamo dimenticato solo perché i “boom” non si sentivano da parecchio tempo. Ma nessuno si era mai illuso che il fenomeno de “’a tangent” fosse morto e sepolto. Anzi, tutti, anche se nessuno lo ha mai detto, sappiamo che il problema esiste. Che anche il piccolo commerciante, il fruttivendolo o il negozietto di alimentari nel vicoletto sono costretti a pagare questa “assicurazione” al prepotente di turno. Ed ecco che il malcapitato, che passa la sua giornata a lavorare in quel negozio nel quale ha investito tutto il proprio danaro, si vede costretto a consegnare un sudato guadagno a chi ha deciso di fare il parassita e campare sulle spalle degli altri.

Un fenomeno che, a lungo andare, ammazza l’economia, stronca la libera iniziativa. Sono sempre di meno quelli che decidono di svolgere attività imprenditoriali nella nostra città. E non solo perché c’è la crisi economica. Ogni tanto si vedono grandi esercizi commerciali, che spesso vivono pochi mesi, ed allora ti viene da pensare che, forse, sono solo il paravento pulito di altre attività svolte dai proprietari. Una realtà di cui nessuno parla. Né i nostri cinque onorevoli (tra Aversa e Casal di Principe) né i rappresentanti dei commercianti (se non quando accade qualcosa e per quei pochi giorni) né i politici locali hanno mai fatto cenno a questa realtà con la quale la classe imprenditrice è costretta a confrontarsi ogni giorno, finendo sempre per soccombere. A meno che non si voglia vedere saltare in aria il proprio negozio o mettere in pericolo, addirittura, la propria vita.

Prima di questi due “boom”, due episodi più eclatanti: a farne le spese una ditta avviatissima come Emini Costruzioni e gli imprenditori edili Di Ronza, il cui portone d’ingresso dell’abitazione è stato utilizzato come bersaglio dai soliti ignoti. Assolutamente inutile lo spiegamento di forze, con tanto di soldati in campo, che non riescono a tenere assolutamente sotto controllo un territorio dove la sicurezza non viene data dallo Stato ma da quel potere clandestino che richiede anche il pagamento de “’a tangent” quale tassa da pagare per la sicurezza.

Insomma, le vittime preferiscono pagare e stare zitte. Eppure, come ci ha insegnato tanti anni fa l’allora dirigente del commissariato aversano, Salvatore Pera, luogotenente del questore Vincenzo Ammaturo, trucidato dalla camorra, quello estorsivo è il reato più facile da debellare se la vittima collabora “perché gli estorsori debbono per forza ritornare una seconda volta, dopo la richiesta del pizzo, per incassare quanto richiesto ed allora noi possiamo arrestarli se…”. Appunto, se…le vittime collaborassero. Ma la paura è tanta, anche perché ognuno ha famiglia e preferisce pagare.

Qualcuno ha mai pensato che se tutti i commercianti insieme si rifiutassero di pagare il pizzo, non potrebbero essere colpiti tutti insieme. Certo, ad esporsi, a coordinarli ci vorrebbe qualcuno, una figura istituzionale. Perché non provarci? Tanto, peggio di così…

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