Scuola, Gelmini propone un tetto del 30% per stranieri in classe

di Redazione

Mariastella GelminiROMA. Con i prossimi 32mila pensionamenti chiesti dagli insegnanti, i 42mila posti in meno per i precari previsti a inizio anno (si calcolano 18mila unità) si riducono notevolmente.

Questi i dati forniti dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi. La Gelmini ha anche annunciato l’ipotesi di introdurre un tetto intorno al 30% della presenza di alunni stranieri a scuola. “Non credo che ciò sia possibile a partire dal prossimo anno ma dal successivo. Comunque sto chiedendo ai dirigenti uno sforzo per risolvere già dal prossimo anno i casi limite”, ha detto il ministro, citando il caso della scuola “Pisacane” di Roma dove su 180 alunni 165 sono stranieri. “Una vicenda che fa riflettere”, ha aggiunto la Gelmini, per la quale è importante accompagnare i bambini stranieri nella conoscenza della lingua italiana.

Il ministro è ritornato sul tema del cinque in condotta, specificando che il ritorno alla valutazione del comportamento “è una necessità, non una scelta”. Il provvedimento, ha spiegato, “non lascia al singolo docente la valutazione ma sarà frutto di una decisione collegiale. Il collegio dei docenti deciderà il voto da assegnare e il 5 in condotta potrà essere attribuito previa sanzione disciplinare. Inoltre molti ragazzi dal voto in condotta verranno premiati dal momento che esso potrà anche alzare la media. Bisogna aver fiducia nella capacità di giudizio degli insegnanti. Anch’io ho preso un 5, ma non sono mai stata rimandata – ha confessato – ma non sono mai stata rimandata”.

Sull’Università, invece, ha ribadito che a partire dal prossimo anno accademico corsi di studio degli atenei si ridurranno del 20% rispetto a quelli attivati quest’anno. L’obiettivo è quello di eliminare i percorsi formativi non essenziali, rendere più razionale l’ organizzazione delle attività didattiche per offrire agli studenti didattica di qualità. “In questi anni – ha detto la Gelmini – si è assistito ad una proliferazione dei corsi di laurea non sempre motivata da reali esigenze del mercato del lavoro”.

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