“Peppe”, un eroe lasciato solo dalla Chiesa

di Nicola Rosselli
Don Peppe DianaCASAL DI PRINCIPE. Non l’ho fatto spesso. In questi
quindici anni, da quando mani vigliacche hanno spezzato la giovane vita di un
prete solare, che voleva “solo” riportare il “suo popolo” ad una dimensione
umana, ho ceduto alla tentazione di scrivere di Peppe …

… (per me e per molti di
noi don Peppino Diana era solo “Peppe”, un amico di qualche anno più grande)
forse solo una volta. Non ho mai inteso calcare la mano su di un legame che
poteva consentirmi di rientrare nelle fila dell’anticamorra militante.

Peppe
era ed è spesso nei miei pensieri. In questi giorni, però, il mio pensiero è
rivolto a lui più spesso del solito. Ancora non mi capacito di quanto è
avvenuto quella tragica mattina del 19 marzo del 1994. Un commando di
vigliacchi armati ha la viltà di sparare contro un uomo inerme, capace solo di
parlare. Un parlare che da fastidio agli uomini della camorra del triangolo
Casal di Principe – San Cipriano d’Aversa – Villa Literno.

Siamo in piena
guerra tra bande; gli emergenti di allora e capi acclarati di oggi avevano
appena spazzato via gli uomini di Antonio
Bardellino
e stavano rafforzando il loro gruppo. Gli omicidi sono
all’ordine del giorno. La popolazione di questa zona sembra essere assuefatta
al sangue che scorre; assiste coprendosi gli occhi ad uno spettacolo fatto di
ferocia, che non ha nulla di umano.

Don Peppino, che da sempre intende la
testimonianza cristiana, in primo luogo, come rispetto per l’altro, non riesce
a stare con le mani in mano. Sente l’importanza del suo ruolo, di una Chiesa
fatta di testimonianza e non di parole vuote, chiusa in se stessa. Trova man
forte in un altro parroco casalese, don
Carlo dell’Aversana
. Sono soprattutto loro due che redigono la lettera dei
parroci della forania di Casal di Principe dal significativo titolo “Per amore
del mio popolo”. Una lettera con la quale si invita i cattolici ad essere
testimoni consapevoli della libertà, di non sottostare al giogo della camorra.

Ma Peppe non si ferma allo scritto. Dall’altare invita a prendere atto della
situazione e a reagire. La Chiesa che aveva da sempre assistito con
indifferenza alle barbarie della camorra, si metteva, questa volta, di
traverso, chiedeva ai fedeli di pensare con la propria testa, di mettere in
atto i principi evangelici. La camorra, le belve non potevano consentire tutto
questo. Si doveva ristabilire l’ordine. Bastava fermare uno di loro, la “capa
più pazza”, quella di don Peppino, appunto. Ancora più facile visto che la
Chiesa li aveva lasciati soli quei poveri parroci. Un silenzio che è durato per
anni. Basti pensare che nel corso dei funerali, il vescovo di Aversa Lorenzo Chiarinelli non aveva mai
nominato la parola “camorra”. Ed oggi la situazione non è affatto migliorata.
Don Peppino è quasi relegato in seconda fila nella Chiesa locale, mentre si
intitolano oratori a pregiudicati camorristi.

Don Peppe Diana è per la società
civile un simbolo da seguire, ma a me, che ho vissuto con lui un piccolo
spicchio della nostra vita, piace ricordare il Peppino spontaneo che parlava
del suo Napoli contro la mia Juve, del giovane che vuole giocare e mi risuonano
nelle mente quelle sue parole in casalese, la sua lingua: “Passam ‘o paglion”.
Ciao Peppino

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