Il Brasile nega l’estradizione in Italia di Cesare Battisti

di Antonio Taglialatela

Cesare BattistiROMA. Il governo brasiliano ha deciso di conferire lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti, ex leader dei Proletari armati per Comunismo, la cui estradizione era richiesta dall’Italia dove è stato condannato per quattro omicidi compiuti negli anni di piombo.

La decisione è stata assunta dal ministro della Giustizia del Brasile, Tarso Genro, a causa dell’esistenza fondata di un timore di persecuzione per le opinioni politiche dell’ex terrorista. Con tale provvedimento, Battisti potrà tornare in libertà questa settimana e vivere in Brasile liberamente. 54 anni, originario di Sermoneta (Latina), Battisti era stato in Francia fino al 2004 (trovando rifugio dal 1981, sotto la presidenza del socialista Francois Mitterand, dopo essere riuscito ad evadere nel 1979 dal carcere di Frosinone).

Dopo che nell’ottobre 2004 la giustizia francese diede il via libera alla sua estradizione verso l’Italia, scappò in Brasile, dove è stato arrestato nel 2007 e rinchiuso in carcere in attesa dell’eventuale estradizione in Italia. In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi al settimanale brasiliano Epoca, Battisti aveva affermato di temere per la sua vita se fosse stato estradato: “Sono certo che se andassi in Italia sarei oggetto di vendetta. Io sarei assassinato”. E invitava il ministro Genro, “che anche lui ha personalmente sofferto dalla repressione politica quando era militante” sotto la dittatura militare (1964-1985), a rifiutare la sua estradizione.

Genro è andato contro la decisione del comitato nazionale per i rifugiati del Brasile, dove siedono in particolare rappresentanti dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, che aveva respinto il 28 novembre la richiesta di asilo politico per Battisti. Il Brasile, finora, ha sempre respinto le richieste di estradizione verso l’Italia di ex attivisti italiani, in particolare delle Brigate Rosse, considerando che erano perseguiti per delitti di natura politica. Ma lo scorso aprile, il procuratore generale della Repubblica Antonio Fernando Souza aveva espresso parere favorevole non considerando “politici” i crimini dell’ex terrorista, poiché “marcati da una certa freddezza e un certo disprezzo per la vita umana”.

Battisti è stato condannato all’ergastolo in contumacia per gli omicidi del maresciallo della polizia penitenziaria, Antonio Santoro, commesso a Udine il 6 giugno 1978, del quale fu esecutore materiale; del macellaio di Mestre Lino Sabbadin il 16 febbraio 1979 a Santa Maria di Sala (Venezia), quando fece da copertura armata all’esecutore materiale; del gioielliere Pierluigi Torregiani, sempre il 16 febbraio 1979, per il quale fu ritenuto co-organizzatore; dell’agente della Digos Andrea Campagna il 19 aprile 1979, di cui fu esecutore materiale. Per tutti questi delitti, Battisti si è sempre professato innocente. La notizia del rifiuto di estradizione è stata accolta con sdegno dalle forze politiche italiane.

In una nota, la Farnesina esprime “viva sorpresa e forte rammarico per la decisione assunta dal ministro della Giustizia brasiliano che, ribaltando quanto stabilito dal Comitato nazionale per i rifugiati, ha accolto il ricorso di Cesare Battisti, un terrorista responsabile di gravissimi delitti che nulla hanno a che fare con lo status di rifugiato politico”. Poi l’appello al presidente brasiliano Lula: “L’Italia rivolge un appello al Presidente Lula da Silva affinché vengano esperite tutte le iniziative che possano promuovere, nel quadro della cooperazione giudiziaria internazionale nella lotta contro il terrorismo, una revisione della decisione giudiziaria adottata”.

Duro il commento del presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri: “Il governo italiano deve assumere immediate iniziative per esprimere alle autorità brasiliane lo sdegno e la condanna del popolo italiano per una decisione vergognosa e inaccettabile che dovrà essere modificata per non pesare in modo grave sulle relazioni tra i nostri paesi”.

Dal Pd Piero Fassino ritiene che “c’è una valutazione errata di reati commessi legata ai reati politici come se questi abbiano una connotazione diversa. Quando si uccide un uomo è giusto che si paghi”.

L’esponente dell’Udc Luca Volontè chiede la rottura delle relazioni diplomatiche: “E’ un vergognoso insulto alla storia e alla dignità del nostro Paese. Ora basta, il governo italiano non può fermarsi alla sola protesta di circostanza, ne va della credibilità delle nostre istituzioni svillaneggiate dalla Francia nel caso Petrella”.

“Ritenere che in Italia possa essere considerato un perseguitato politico significa oltraggiare il nostro sistema democratico, forte di garanzie che non necessitano di patenti”, afferma il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, per il quale “il governo italiano non può dunque accettare una decisione del genere, soprattutto per il rispetto dovuto alle vittime ed ai loro familiari”.

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