Arrestato Setola, ma la lotta alla camorra continua

di Raffaele De Biase

Giuseppe SetolaCASERTA. Come avevamo supposto non è durata molto la reggenza di Giuseppe Setola, classe 1970 e leader da tempi non sospetti del “gruppo di fuoco” della fazione dei Casalesi facente capo a Francesco Bidognetti (“Cicciotto ‘e mezzanotte”).

La cieca violenza di Setola è stata uno dei fattori che hanno determinato la sua sovraesposizione e, quindi, la sua vulnerabilità. Questo ha segnato la parabola discendente del killer aspirante boss, insieme ad altri e non meno importanti fattori, quali lo sgretolamento inesorabile del clan di appartenenza, causa pentimenti eccellenti (Domenico Bidognetti – un tempo capo dello stesso Setola – la seconda moglie di Cicciotto Anna CarrinoOreste Spagnuolo) e le brillanti operazioni delle forze dell’ordine.

Michele Zagaria e Antonio Iovine

Michele Zagaria e Antonio Iovine

Una parabola, quella di Setola, conclusasi ieri con l’operazione condotta dai carabinieri del Comando Provinciale di Caserta ed iniziata tra la fine degli anni ottanta ed inizio anni novanta quando il giovane Setola, amico del primogenito di Francesco Bidognetti, Aniello, iniziò a mettere in mostra le sue prerogative. Caratteristiche che talvolta creavano dei veri e propri incidenti di percorso, come i ceffoni che Walter Schiavone (fratello del boss Francesco Schiavone detto “Sandokan”) – stando alle dichiarazioni del pentito Luigi Diana – diede proprio al già bellicoso Setola per aver quest’ultimo mancato di rispetto ad un rampollo di casa Schiavone.

Ed una parabola che poi si è impennata pericolosamente con la guerra interna innescatasi tra i fedelissimi di Cicciotto, tra cui Setola, da una parte e gli scissionisti di Salvatore Cantiello (detto “Carusiello”) e Luigi De Vito dall’altra. Una guerra che fece alla fine degli anni ‘90 tanti morti ammazzati, tra cui nel ‘97 Salvatore Bidognetti, fratello di quel Domenico al tempo capoclan in nome e per conto del cugino Cicciotto, arrestato nel ‘95. Ma la parabola di Giuseppe Setola, da giovane impetuoso a killer e, infine, aspirante capo, è precipitata ieri.

Francesco Schiavone
F. Schiavone
“Sandokan”

L’arresto del trentottenne non deve far pensare, però, a qualche ulteriore effetto “domino” in quello che, in maniera omnicomprensiva, viene definito clan dei Casalesi. Con Setola, come attestano anche le frasi a caldo del colonnello Carmelo Burgio, finisce la storia di un pezzo della camorra casalese e precisamente la storia dei “bidognettiani” o anche “cicciottiani” (come i seguaci di Cicciotto vengono indicati in “Terra dei Mazzoni”), ma presumere altro è indebito. Dalla morte di Mario Iovine, ultimo capo assoluto, avvenuta a Cascais nell’ormai lontano 1991, il clan dei casalesi ha, infatti, avuto sempre una struttura federata (frutto peraltro di una sanguinosa guerra sviluppatasi fra il ‘91 e il ‘93). Una struttura in cui le fazioni degli Schiavone, degli Zagaria e dei Bidognetti conservavano tra loro rispettive aree di completa autonomia, unitamente alla condivisone di alcuni affari di dimensione, diciamo così, globale.

In questa struttura a compartimenti sufficientemente separati, seppur con qualche vaso comunicante, non è lecito supporre, quindi, che l’arresto di Setola possa aprire qualche breccia nella coltre di omertà e di connivenza che protegge Michele Zagaria ed Antonio Iovine. Questi due latitanti hanno dimostrato negli anni di essere personaggi di ben altro spessore criminale e di poter vantare una connivenza che va ben oltre, molto oltre, i ragazzotti che hanno assistito Setola nelle ultime settimane prima della sua cattura.

Nicola Panaro Mario Caterino

Nicola Panaro

Mario Caterino

Discorso analogo va fatto per quel Nicola Panaro che avrebbe il compito di rimettere in piedi il clan Schiavone, di cui è reggente indiscusso dal 1998, anno in cui fu arrestato quello che tuttora può essere considerato l’autorità “morale” del clan, vale a dire Francesco Schiavone di Nicola detto “Sandokan”.

Michele Zagaria, Antonio Iovine e Nicola Panaro. Sono questi, dunque, i capi delle “famiglie” che vivono in una logica di concertazione per i grossi affari che attraversano la provincia, ma che hanno nel contempo autonomia decisionale per quanto concerne sfere ed ambiti di soggettiva competenza. In particolare, restano sotto l’egida di Michele Zagaria comuni come Frignano, San Marcellino, Trentola Ducenta (ultimamente balzata agli onori per aver “ospitato” l’ultima fugace latitanza di Setola) e naturalmente Casapesenna, “patria” di Zagaria. Di Antonio Iovine, invece, il potere indiscusso su San Cipriano d’Aversa e Villa Di Briano, oltre alla condivisone degli affari con gli Schiavone di Casal di Principe per quanto concerne Castel Volturno, Baia Verde, Pescopagano, Grazzanise, Santa Maria Capua Vetere, Casagiove, Capua e il Matese.

Ora, sia Iovine che Zagaria, unitamente a Panaro, col placet di Francesco Schiavone, potrebbero avanzare pretese sui comuni lasciati sgombri dai “bidognettiani”: Parete, Lusciano, Villaggio Coppola-Pinetamare e Villa Literno. Tutto ciò fermo restando la conservazione degli interessi imprenditoriali nel Lazio per Iovine, e in Emilia, precisamente a Parma, per Zagaria.

Accanto a Iovine, Zagaria e Panaro, non vanno dimenticati altri due latitanti, affiliati storici del clan, come Raffaele Diana, detto “Rafilotto”, che vanta interessi nel modenese (Modena, Bastiglia, Castelfranco Emilia), e Mario Caterino, detto “Mario ‘a botta”, negli ultimi anni approdato anch’egli nella cabina di regia del clan.

La lotta alla camorra continua…

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