22 agosto 1978, a Ginevra muore Ignazio Silone

di Redazione

Ignazio SiloneAccadde Oggi. Secondino Tranquilli, nasce a Pescina il 1 maggio del 1900, solo più tardi diventerà prima come pseudonimo, poi con vero e proprio nome legale, Ignazio Silone.

Siamo nella Marsica, in Abruzzo, in uno dei posti più poveri e disgraziati del mondo. A soli 15 anni, dopo già aver dovuto soffrire per la morte del padre nel 1911, il terribile evento del terremoto che farà ben 3.500 morti proprio nel piccolo centro di Pescina, Ignazio perde anche la madre e resta con un fratellino piccolo. Comincia il suo calvario di affidi temporanei e passaggi per collegi. Importantissima l’esperienza che Ignazio fa nei centri di don Luigi Orione, che tra l’altro diventa amico e protettore di quello che sarà uno degli scrittori più discussi della letteratura italiana.

Da subito il suo animo “vivace” lo porta in prima fila, ma sarà proprio la Marsica a forgiare il giovane Silone. Comincia scrivendo alcune lettere all’Avanti con denunce di fatti patiti dai “cafoni”. Nel 1917 si iscrive alla Lega dei Contadini e quindi, abbandonato il paese natio, va a Roma dove si ritrova nell’Unione Giovanile Socialista, aderisce all’idea di sinistra dello spaccato Partito Socialista, vicino alle idee di Bordiga e Gramsci. Nel 1919 è il segretario dell’Unione Socialista romana e nel 1921 da relatore al XVII Congresso di Livorno partecipa alla divisione del partito che darà la nascita al Partito Comunista Italiano di cui Silone farà subito parte.

Conosce a Mosca Lenin, durante la sua partecipazione alla Terza Internazionale. Dal 1922 è impegnato da giornalista ne “Il Lavoratore” a Trieste, conosce il primo amore, Gabriella Seindenfeld, ebrea fiumana, ed il primo arresto da parte dei fascisti. Nel 1923 viene inviato in Spagna dove sarà corrispondente . Lo ritroviamo a Parigi redattore de “La Riscossa”, torna perché estradato in Italia nel 1925. Nel 1926 fa parte di quelli della “casa dell’ortolano” ed insieme a Camilla Ravera da vita alla stampe de “L’Unità”. Nel 1927 torna a Mosca insieme alla delegazione guidata da Palmiro Togliatti, ma resta ancora una volta negativamente colpito (lo segnano profondamente le epurazioni di Zinov’ev e Trotsky).

Nel 1931 viene espulso dal Partito Comunista, si trova in Svizzera, vi resta, fortemente amareggiato dalla politica, ma già l’anno precedente aveva steso Fontamara, un libro dove narra della rivolta dei suoi cafoni, contro i potenti in un immaginario paesino della Marsica. Diventa anche direttore di Information, rivista tedesca dove partono le prime indicazioni alla Bauhaus. Continua a scrivere, “Fascismo. Origini e sviluppo”, “Un Viaggio a Parigi”, “La scuola dei dittatori”, conosce per la vita Daina Laracy, una giovane giornalista irlandese con la quale resterà fino alla fine. Diventerà un “socialista senza partito”. Rientra in Italia , con uno scalo a Capodichino e dopo una notte a Caserta va a Roma accolto da Pietro Nenni. Diventa direttore dell’Avanti e firma con Sandro Pertini la mozione vincente al primo congresso socialista. Nel 1953 lo ritroviamo presidente della Mostra Cinematografica del Cinema di Venezia.

Si accosterà in forma strana al religiosità, ed anche in questo caso sarà un “cristiano senza chiesa”, teorizzando una religione vicina ai poveri e alle strutture semplici ed essenziali, ma lontana dalla chiesa. Nel 1968 vince il Super Campiello don “l’avventura di un povero cristo”, una storia romantica su papa Celestino V, il suo rifiuto, la sua terra.

Uomo complesso e difficile muore il 22 agosto del 1978, trenta anni fa, la sua fortuna e la sua opera è comunque ancora un serbatoio incredibile di scoperte e storie intricate che consigliamo di inseguire con estrema attenzione, anche per la particolare sensibilità verso gli sfortunati.

Da Fontamara, di Ignazio Silone “In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito”

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