Camorra, quando la giustizia compie dei passi falsi

di Raffaele De Biase

Giuseppe SetolaCASAL DI PRINCIPE. Quando giustizia fa rima con leggerezza. I casi di due fra i più pericolosi latitanti del clan dei casalesi, Raffaele Diana, detto “Rafilotto”, e Giuseppe Setola, hanno un inquietante minimo comun denominatore, dato dalla disinvoltura dei tribunali di sorveglianza nella concessione di permessi premio e trasferimenti per motivi di salute.

Sia il primo che il secondo, infatti, in momenti storici differenti hanno approfittato delle maglie larghe della burocrazia giudiziaria per darsi alla macchia. Nel caso di Diana, l’esponente storico del clan dei casalesi, condannato in primo grado a sette anni di reclusione per associazione camorristica ed estorsione, dopo aver scontato i primi tre anni godette di un singolare permesso premio di tre giorni, a seguito del quale non fece più ritorno presso l’istituto di pena. Diana, all’epoca del permesso, siamo nel 2004, al di là della condanna in primo grado, inflittagli per un fenomenale giro di estorsioni nella provincia di Modena emerso a seguito dell’operazione Zeus, era già imputato eccellente nel processo Spartacus per concorso in omicidio e quadruplice omicidio, oltre che naturalmente per associazione a delinquere di stampo camorristico. Il tutto al di là dei quadri informativi delle forze dell’ordine che ne attestavano il rango apicale nel sodalizio criminale (prima bardelliniano poi seguace di Mario Iovine, ed infine boss indiscusso con capacità di infiltrazione nel modenese).

Raffaele Diana, detto “Rafilotto”Insomma, il Diana non era un ladro di polli e sarebbe stato facile immaginare che con la conclusione del processo Spartacus prevista per l’anno successivo, lo stesso difficilmente non avrebbe approfittato di un permesso premio giunto, è il caso di dirlo, come una vera e propria scialuppa di salvataggio. Il risultato di questo svarione del tribunale di sorveglianza è che oggi c’è in giro un latitante condannato in secondo grado all’ergastolo per i reati suddetti dalla Corte d’appello di Napoli ed inserito nella lista dei cinquanta latitanti più pericolosi d’Italia.

Anche il caso di Peppe Setola, come quello di Rafilotto, non manca di spunti che rendono assai criticabile il sistema giudiziario. A Setola, braccio armato della fazione di Francesco Bidognetti, dopo aver scontato un periodo di detenzione di circa sei anni viene consentito un ricovero per un intervento oculistico. Sin qui non ci sarebbe niente da eccepire, se non fosse per il fatto che nessuna seria misura è stata assunta, anche in questo caso, al fine di evitare che il pericoloso pregiudicato potesse darsi alla latitanza, cosa che è puntualmente avvenuta. In quest’altro caso il risultato è che proprio Setola pare stia ora dietro alla tentata riorganizzazione del clan Bidognetti, messo negli ultimi anni alle corde dalle indagini, dagli arresti ma, soprattutto, dalle dichiarazioni di pentiti eccellenti come Domenico Bidognetti ed Anna Carrino.

Questo senza considerare che da quando Setola è in giro si sono registrati ben quattro omicidi nell’area di influenza dei bidognettiani, oltre alla esecuzione di Michele Orsi che investe l’esiziale intreccio tra camorra e politica.

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