Cultura, il fenomeno de “L’iniziativismo”

di Redazione

 ORTA DI ATELLA. Cosa intendono per “cultura” gli assessori alla cultura? Prendo come riferimento di partenza, per questa mia spero utile riflessione, non il solito vocabolario d’italiano, ma un celebre dizionario di antropologia in cui leggo una definizione del 1871 di E.B. Tylor, …

…che dice: “Insieme complesso che include i saperi, le credenze, l’arte, le abitudini, il diritto, i costumi, così come ogni disposizione o uso acquisito dall’uomo che vive in società”. Le pagine che approfondiscono il termine sono numerose, le accezioni date al termine diverse, ma quasi tutte inclusive, aperte mai chiuse in un’etichettatura monovalente. Perché faccio questa premessa? Il motivo è semplice quanto evidente. Nel frequentare le varie iniziative “culturali” patrocinate o prodotte da quasi tutti gli assessorati della provincia di Napoli e Caserta mi sono trovato sempre di fronte alla stessa situazione o stessa malattia: “l’iniziativismo”. Che cos’è? E’ semplicemente il frutto di una concezione della cultura parziale, patinata, provvisoria, svagata, esibita. In poche parole, un semplice spettacolo per intrattenere i cittadini dalla monotonia dei giorni del vivere in città. Certo, tutto questo è conseguenza della cosiddetta “società dello spettacolo” di debordiana memoria. In tempi più prossimi a noi si è parlato di “vetrinizzazione sociale” (definizione molto cara al sociologo Vanni Codeluppi), ma l’attenzione andrebbe posta su un aspetto in particolare: l’alienazione della parola cultura dalla vita del territorio, dalle scelte che vengono perpetrate dalle amministrazioni sul tessuto urbano, storico, architettonico e, quindi, antropologico delle nostre cittadine. Ho come la sensazione, piuttosto inequivocabile, che ci sia proprio una carenza diffusa, molto profonda nel “modo di concepire la cultura”. E’ una concezione riduttiva che non ha in se una qualità fondamentale cioè quella di essere inclusiva, aperta, frutto di un pensiero problematico. Molto diffuse sono le presentazioni di libri con tanto di autori, brindisi e sviolinata finale. Per intenderci, nulla da eccepire in tal genere di iniziative anche io vi partecipo e con piacere, ma mi accorgo che in tutto ciò manca l’essenziale: “il nerbo vitale”. Sono quasi sempre situazioni chiuse in sé, inattuali, provvisorie. In tutto questo una concezione inclusiva di cultura dov’è!? Bisognerebbe passare dall’attenzione per i testi scritti ad un’attenzione per ciò che io considero il “testo” più importante: quello del territorio, delle nostre città, dei luoghi dell’anima e della nostra vita materiale. Bisognerebbe iniziare a pensare che se in un centro storico si abbatte un edificio il danno è tale da cancellare per sempre una “pagina” fondamentale dal “testo” della nostra città. Una “pagina” che nessuno più potrà leggere ed ammirare, ma solo ricordare e rimpiangere con il beneficio di una impoverita “memoria”. A cosa pensano, ripeto, gli assessori alla cultura quando pensano alla cultura?

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