Tibet, Dalai Lama: “Fermare genocidio culturale”

di Antonio Taglialatela

Proteste di profughi tibetani davanti allLHASA (Tibet). Dal suo esilio in India, il Dalai Lama, premio nobel per la Pace e guida spirituale dei tibetani, denuncia il “genocidio culturale” che sta avvenendo nella regione cinese da parte del governo di Pechino.

A Lhasa, capitale del Tibet, secondo il Dalai Lama è in atto “una discriminazione sistematica” e “i tibetani nella propria terra sono trattati da cittadini di seconda classe”. Ecco perché il leader dei buddisti in esilio invoca un’inchiesta internazionale per far luce sulle violenze che si stanno verificando nella zona occupata dalla Cina nel 1959. “Noi vogliamo autonomia, non separazione”, ha sottolineato. Intanto, continua ad essere incerto il bilancio degli scontri a Lhasa tra manifestanti e polizia. Le autorità cinesi parlano di una decina di vittime, mentre fonti del posto riferiscono di almeno ottanta/cento morti. Ieri il governo di Pechino ha dato un ultimatum ai dimostranti: cessare la protesta entro lunedì sera, in cambio sarà concessa clemenza, altrimenti si porranno in essere “punizioni”. Infatti, sembra che il governo stia per inviare verso Lhasa oltre mille soldati a bordo di duecento veicoli da trasporto truppe. Ma la capitale tibetana è solo il principale scenario delle manifestazioni. Nella provincia cinese di Sichuan, al confine con il Tibet, circa duecento dimostranti, hanno lanciato bombe incendiarie e dato fuoco a un commissariato di polizia nella contea di Aba, nella parte sud-occidentale della Cina. Gli agenti hanno reagito con i gas lacrimogeni per disperdere la folla e hanno arrestato cinque persone. Secondo un testimone i poliziotti avrebbero aperto il fuoco e ucciso tre persone. Sichuan è una delle quattro provincie cinesi con forte presenza di tibetani. Manifestazioni anche fuori dalla Cina: in India, a Nuova Delhi, decine di profughi tibetani hanno protestato davanti all’ambasciata cinese, così come è accaduto a Londra, Praga, Kathmandu (Nepal), Sidney. Il governo ha bloccato anche l’accesso internet al sito YouTube, dove vi erano decine di filmati delle proteste.

Proteste di profughi tibetani davanti all

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