Grazia a Bruno Contrada, infuria la polemica

di Antonio Taglialatela

Bruno ContradaROMA. E’ polemica sulla richiesta di grazia avanzata al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dai legali dell’ex numero due del Sisde, Bruno Contrada, detenuto in precarie condizioni di salute nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, nel casertano.

76 anni, Contrada è stato condannato a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Contro la richiesta di grazia, – la cui istruttoria è stata avviata dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, su istanza del Capo dello Stato – si è schierata Rita Borsellino, la sorella di Paolo, il magistrato antimafia ucciso nel 1992: “Ritengo questa ipotesi estremamente grave. – ha detto – Contrada è stato condannato per reati commessi tradendo la sua funzione di servitore dello Stato, quello stesso Stato per cui Giovanni Falcone, Paolo e tanti altri rappresentati delle istituzioni hanno consapevolmente dato la vita. Comprendo i sentimenti di pietà che si possono avere nei confronti di un uomo nelle condizioni di Contrada ma la sua vicenda giudiziaria ha sempre lasciato l”alea del dubbio sul fatto che il dirigente del Sisde abbia detto fino in fondo ciò che sapeva sulle complicità di parte delle istituzioni con l”organizzazione mafiosa. Uno Stato – conclude la Borsellino – deve sapere distinguere e ricordare altrimenti il rischio, dirompente per un Paese democratico fondato sulla giustizia, è che domani possa apparire legittima e dovuta anche la grazia ai boss mafiosi”.

Sulla stessa posizione di Rita Borsellino anche l’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili, la Fondazione Caponnetto e Rosanna Scopelliti, figlia del giudice ucciso dalla mafia nel 1991 che, assieme alla sorella del magistrato, hanno chiesto un incontro con Napolitano.

A queste critiche rispondono i tre fratelli e le quattro sorelle di Contrada: “Ci rattrista profondamente sentire affermazioni crudeli e gravi nei confronti di nostro fratello Bruno, della cui innocenza o colpevolezza non stiamo qui a discutere, anche se siamo sicuri che un giorno la vera giustizia ristabilirà la verità sulla sua vicenda giudiziaria”. “Nostro fratello – aggiungono – è stato condannato dopo quindici anni di processo, e dopo che vi era stata anche una sentenza di assoluzione della Corte di Appello di Palermo poi annullata dalla Corte di Cassazione. Giulio Andreotti e Corrado Carnevale avevano le stesse accuse, gli stessi pentiti che li accusavano, ma la loro storia si è conclusa diversamente, secondo noi, soltanto per un puro caso della sorte. Bruno è stato sfortunato: i suoi giudici hanno creduto agli ex mafiosi e assassini e non hanno creduto a centinaia e centinaia di persone per bene, come prefetti, capi della polizia, generali dei carabinieri, eccetera eccetera”. “Nostro fratello – concludono – sta male davvero ed ha settantasei anni e mezzo e potrebbe morire in qualsiasi momento e la signora Rita Borsellino, che è farmacista, questo lo dovrebbe capire meglio di chiunque”.

Intanto, attraverso una nota, il Quirinale sottolinea che il presidente Napolitano “ha ben presente, di fronte a qualsiasi domanda di grazia, tutte le ragioni da prendere in considerazione, quanto stabilito dalla Corte Costituzionale e le procedure da rispettare. Qualsiasi provvedimento in materia di differimento della pena, basato sulla gravità delle condizioni di salute dei condannati che stiano scontandola in carcere, è, com’è noto, di esclusiva competenza della Magistratura di sorveglianza”.

Contrada fu arrestato il 24 dicembre 1992, nella sua casa di Palermo, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e rimase due anni e mezzo nel carcere militare di Forte Boccea di Roma. Il 12 febbraio 1994 fu rinviato a giudizio e il 5 aprile 1996 il tribunale di Palermo lo condannò a dieci anni di reclusione. Nel maggio 2001 venne invece assolto con formula piena dalla Corte d’Appello di Palermo, ma la sentenza fu annullata nel 2002 dalla Corte di Cassazione. Il 26 febbraio 2006, nell’aula-bunker del carcere palermitano di Pagliarelli, la prima sezione penale della Corte d”Appello confermò il verdetto di primo grado e, dunque, i dieci anni di carcere. Nel maggio scorso la Cassazione ha confermato la pena ed è stato assegnato al carcere in provincia di Caserta. Lui ha sempre respinto ogni accusa, dicendo di essere un fedele servitore dello Stato e di essere stato incastrato, per vendetta, dai mafiosi che aveva incriminato in passato. Da alcuni giorni rifiuta di mangiare e si trova in uno stato di profondo malessere psichico e fisico, motivi che hanno indotto il suo avvocato, Giuseppe Lipera, a supplicare la grazia a Napolitano.

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