Eravamo quattro amici al bar…

di Redazione

 Visto che da un po’ di tempo mi sto occupando di tasse, leggendo attentamente i vari commenti pervenuti dai tanti lettori, di cui apprezzo i contenuti, voglio continuare questo viaggio nell’affascinante mondo dei tributi che ognuno di noi versa nelle casse dello Stato e che il popolo ha il dovere di pagare.

Faccio un ragionamento, il più semplice del mondo, analizzando le tante situazioni che una famiglia normale vive tutti i giorni. Io ho un ruolo, che non è politico ma soltanto di informare la gente e poter esprimere opinioni basandomi sulla sofferenza che i cittadini vivono tutti i giorni. Visto che non sono un politico, giro tra la gente, domando, documento, ascolto le ragioni, rifletto e traggo delle conclusioni. Ripeto non sono un politico, faccio un lavoro meraviglioso, ed attraverso questo cerco di dialogare con i politici per metterli al corrente che l’Italia non può più vivere. Loro non hanno più il tempo di andare in giro dopo essere stati eletti, mi permetto di suggerirgli le difficoltà che il Paese vive, sia in campo nazionale sia nelle realtà locali. Molte volte mi piegano le spalle, altre cercano di farsi delle ragioni, altre ancora rimangono in silenzio, perché la realtà è evidente e non c’è modo di giustificare l’insofferenza che vivono i cittadini Italiani.

La sera di quel famigerato capodanno, quando l’euforia non era tanto per la fine dell’anno, più per l’evento storico della moneta unica europea, l’allora presidente della commissione Europea Romano Prodi rilasciò un’intervista proprio in quelle ore, definendo un momento storico per l’Italia l’entrata nell’euro. Senza dubbio era così per molti Italiani. Per me no, davanti alla Tv, ad ascoltare l’intervista eravamo in quattro, tutti amici in attesa che scoccasse la mezzanotte per andare al primo bancomat a prelevare le nuove banconote. In quel momento la mia esclamazione fu: l’Italia è diventata povera. Prontamente attaccato dai miei amici che si grattavano le parti basse per gli scongiuri. Mi dissero una miriade di cose, che io ascoltavo con rassegnazione, eravamo soltanto all’inizio di una grande disgrazia.

A distanza di sei anni quegli stessi amici, in una serata di disperazione dove volevamo per un attimo staccare la spina dai tanti problemi, seduti intorno ad un tavolino di un bar a prendere due caffé in quattro, proprio come nella canzone “Quattro amici al Bar” di Gino Paoli, – tanto per dare la misura di come vive l’italiano medio oggi, mentre quella sera di sei anni prima, nonostante ci fossero tanti problemi anche allora, le nostre tavole presentavano più ricchezza – mostravano tanta disperazione, ognuno di loro confermò quello che io avevo detto sei anni prima, dovendosi ricredere e darmi ragione. Quella profezia si stava avverando, avevo visto più lontano della realtà e quell’entusiasmo che tutti avevano, quell’avvenimento a me dava solo tanta tristezza. Quella sera, a distanza di sei anni, capii che bisognava rimboccarsi le maniche e trovare una via d’uscita da quell’enorme abisso in cui i nostri politicanti, senza chiederci nemmeno un parere, – “la costituzione Italiana impedisce al popolo di entrare in argomenti inerenti i patti internazionali” – ci avevano condotto.

In quei volti c’era disperazione, uno di loro aveva perso il lavoro “precario” che gli dava perlomeno la forza di racimolare qualcosa, “250 euro al mese” in attesa di momenti migliori, soltanto che a quarant’anni era ancora un precario, con solo pochi anni di contributi, pertanto quella persona la pensione non la vedrà mai. Un altro, operaio metalmeccanico, prendeva 1200 euro al mese, pari a 2 milioni 400 mila lire del vecchio conio, sei anni prima era un grande stipendio, oggi è povertà. Con quei soldi, con due figli a carico, con una moglie disoccupata, stava accumulando debiti perché non riusciva più ad andare avanti ed era disperato. L’ultimo aveva una piccola impresa edile che per molti anni era riuscito a portare avanti, con dignità pagava le tasse, i suoi contributi pensionistici, la camera di commercio, gli operai. Quella sera il suo volto non era scuro, ma era nero dalla vergogna, in poco meno di sei anni aveva accumulato tanti debiti con l’erario “poiché per tirare avanti la famiglia e l’impresa non riusciva più a pagare le tasse”, aveva chiuso l’impresa che da 12 anni tirava avanti. Dato più negativo, la casa, che con grandi sacrifici aveva messo su, era stata pignorata dalla banca, perché avere un impresa in Italia è molto rischioso, il rischio sono le case, e quel povero cristo che per fare l’impresa, per crearsi un lavoro per se e per gli altri onestamente, vedeva naufragare il sogno della casa perché la banca gliela stava portando via.

Tornato a casa iniziai un ragionamento, presi le bollette che avevo pagato partendo dal 2002, ebbene, il risultato mi fece capire perché eravamo diventati così tutti poveri. Presi la bolletta della Tarsu, nel 2002 avevo pagato 220 mila lire che convertite in euro, in linea di massima, dovevano essere 110 euro. Anno 2007, stessi metri quadri, stessa casa, stesso nucleo familiare, nulla era cambiato, solo la somma da pagare era diversa, 435 euro. Andiamo avanti: bolletta dell’acqua, 200 mila lire nel 2002, nel 2007 la quota da pagare risultava 445 euro. L’elenco è lungo, stessa cosa per la luce, gas, acqua, rette scolastiche, parcheggi, quote bancarie, poste, pane, pasta, alimenti di ogni genere, abbigliamento, tasse regionali e statali, tutto quello che ci circonda è diventato molto più grande di noi, mentre i nostri guadagni sono sempre uguali.

Quando le cose diventano più grandi di noi, noi diventiamo dei moscerini, ci pieghiamo su di noi stessi aspettando qualcuno che ci dia una mano. Purtroppo quella mano non arriva, perché quel qualcuno ci schiaccia, alza la mano andando via sorridendo, mentre noi restiamo immobili, assorbiamo l’ulteriore colpo, aspettando che passi qualcun altro e ci dia ossigeno. Forse ha ragione Umberto Bossi, lo sciopero fiscale in questo momento è l’unica arma per poter far capire a chi governa che questo popolo sorride nascondendo la disperazione, perché il popolo italiano è un popolo orgoglioso, non reagisce mai, muore in silenzio.

Giusta l’osservazione di Giulio Andreotti al meeting di Rimini: “La perfezione fiscale è un illusione”, applausi scroscianti per il senatore, a dimostrazione che il popolo apprezza chi guarda alla realtà. I nostri politici vogliono sempre paragonare l’Italia agli altri paesi europei, bisogna smetterla, siamo indietro con il tempo di quasi mezzo secolo, lì sono molto più ricchi di noi da sempre, hanno sempre condotto una linea politica seria a sostegno dei cittadini. Prendono e distribuiscono le risorse alle famiglie, alle fasci più deboli, alle piccole e medie imprese che hanno bisogno di ossigeno e non di essere distrutte. Fanno in modo che l’economia regga, oltretutto con una pressione fiscale che da noi possiamo sognarcela.

Concludo, senza togliere nessun merito ai luminari della politica italiana, continuando a proporre, visto che chi dovrebbe farlo non ci riesce: meno tasse da subito, ciò regolarizza l’evasione, mette in condizione tutti di pagare, nello stesso tempo mette in movimento l’economia che ha bisogno di un potere d’acquisto più forte per rimettersi in moto. Poi chi sbaglia paga, politici compresi! Perché in Italia la prima cosa saggia da fare è togliere l’immunità parlamentare.

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