Caos in Birmania, osteggiati i contatti con l”estero

di Redazione

Monaci sorvegliatiMYANMAR. È caos nell’ex Birmania. Dopo la violenta esplosione del conflitto, nei giorni scorsi, tra le forze militari ed i manifestanti che si oppongono al regime, la tensione sale ora dopo ora.

Anche oggi decine di migliaia di persone sono scese in piazza, incoraggiate dalla protesta che coinvolge un consistente numero di civili, la cui avanguardia è stata rappresentata in una prima fase dai monaci, ostili al regime, e impegnati a sostenere anche con la vita la lenta ascesa verso una condizione democratica. Poi le maglie della protesta si sono inesorabilmente allargate, andando a contenere decine di migliaia di persone, che da giorni scendono regolarmente nelle piazze, ogni ora sommandosi tra loro. Anche ieri l’esercito, durante gli scontri, ha sparato contro la folla: e non solo lacrimogeni. Il numero delle vittime, che per la giunta militare si assesterebbe attorno alle 9, 10 unità, sarebbe secondo l’ambasciatore d’Australia in Birmania, Bob Davis, da moltiplicare parecchie volte.

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Un reporter giapponese, identificato come Kenji Nagai, nel tentativo di scattare delle foto che testimoniavano gli attacchi militari contro i “dissidenti”, è stato ieri ucciso da un militare. Un video testimonia l’accaduto. Un altro giornalista tedesco sarebbe stato ucciso, sempre ieri. Segno dell’atteggiamento del regime di osteggiare qualunque forma di dissenso, insieme a qualunque forma di testimonianza degli abusi compiuti dal regime stesso. Per questo giornalisti e reporter, invisi al regime, faticano a lavorare, rischiando la vita.

Nel Paese, i collegamenti internet sono stati tagliati, e chiunque osi collegarsi alla rete, o cercare di conferire visibilità internazionale agli eventi accaduti, viene arrestato. Numerosi internet-cafè sono stati chiusi, e i blog che mostravano foto della pacifica marcia dei civili, oscurati. Anche oggi a Rangoon, presidiata dai militari, le manifestazioni continuano. Ma ormai i militari tentano in ogni modo di reprimere qualsiasi dissenso. Sparano ad altezza d’uomo, come accaduto nei giorni scorsi nel corso di una corteo studentesco, e con disumana ferocia. Secondo alcuni testimoni del luogo, che hanno chiesto di restare anonimi per paura di ritorsioni, “Le famiglie birmane che hanno subito perdite vengono minacciate dai militari affinché dichiarino che i loro congiunti sono morti per cause naturali e non durante le manifestazioni”.

la polizia lancia i lacrimogeniUna condizione di repressione, da parte del regime, che si esprime quindi a 360 gradi. Intanto, a livello internazionale, comincia a muoversi qualcosa. Il segretario di stato Usa, Condoleeza Rice, ha salutato favorevolmente il comunicato dell’Asean, organismo che rappresenta i Paesi del sud-est-asiatico, che ha chiesto al regime di usare la non-violenza nei confronti dei manifestanti. “Posso solo assicurarvi che gli Stati Uniti sono determinati a tenere l’attenzione della comunità internazionale concentrata sui quello che accade a Rangoon”. E in Italia e non solo, nel frattempo, le iniziative di solidarietà si moltiplicano rapidamente. Un passa-parola tramite sms chiede a chiunque voglia esprimere vicinanza al popolo birmano di indossare una maglietta rossa. Iniziativa condivisa e praticata anche da personaggi come Gianni Letta, candidato al futuro PD. “Con il pensiero e la preghiera siamo legati a quanto sta succedendo in Birmania, dove la protesta si sta tramutando in tragedia”. “L’Italia – ha aggiunto Letta – sostiene gli sforzi dell’Ue affinché la tragedia si fermi e vinca la libertà e la democrazia”. A Letta si è aggiunto anche il leader dei Verdi, Pecoraro Scanio, che ha esibito una cravatta rossa. “Credo – ha detto Pecoraro Scanio – che dovremmo tutti essere solidali con un popolo che in modo non violento si ribella ai dittatori”.

La situazione vive, attualmente, una fase di pericolosa degenerazione, dovuta anche al fatto che – si dice – il comandante delle forze militari, il generale Hla Htey Win, sarebbe agli arresti dopo che soldati ai suoi ordini si sono rifiutati di sparare sulla folla. Uno stato di agitazione collettiva, e indefinibile. Che si spera possa avere una rapida tregua.

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