San Cipriano, il volto ambiguo dello Stato

di Redazione

San CiprianoSAN CIPRIANO (Caserta). Il cuore mafioso di San Cipriano è in via delle Rose, lì dove la famiglia Iovine si è trasferita da qualche anno, dopo aver abbandonato la villa blindata a mezza strada con Casale. Via delle Rose marca il confine tra i due paesi, un marciapiede all’uno, quello di fronte all’altro, a ricordare quella continuità territoriale che fa dei due comuni la stessa cosa.

Comando vigiliLì, a ridosso del centro storico e del palazzo municipale, vivono la moglie del «ninno bello» e i suoi tre figli. Lì, a pochi passi, c’è il centro pastorale intitolato al cassiere dei Casalesi, Dante Passarelli, morto in circostanze mai chiarite qualche mese prima della sentenza di Spartacus. Il comando della polizia municipale, quello nuovo, è a trecento metri; quello vecchio di via Serao a cinque minuti di cammino; la stazione dei carabinieri è dietro l’angolo; la casa che fu di Antonio Bardellino a poche strade di distanza, in via Aquara. Quella del fratello Ernesto – che di San Cipriano fu sindaco e che a San Cipriano è tornato un anno fa, dopo il lungo esilio al quale era stato condannato da chi aveva presto il posto di don Antonio a capo del clan – pure. Il percorso dall’uno all’altro ufficio, dall’una all’altra casa, è un percorso segnato dai mille scandali di una comunità che non ha mai smesso di convivere con la camorra, di un paese di tredicimila persone nel quale spesso, troppo spesso, lo Stato e la camorra hanno la stessa faccia. Il giorno dopo l’azzeramento del comando di polizia municipale – sette vigili su undici, comandante compreso, indagati per favoreggiamento della camorra, peculato e concussione – è il giorno del ricorso alla burocrazia delle date quale arma di difesa. «Giuseppe Iovine – insiste il sindaco Enrico Martinelli – era stato trasferito a gennaio. Ma faceva il vigile urbano anche quando c’era l’altra amministrazione, quella di centrosinistra, nonostante non avesse più la qualifica di agente di pubblica sicurezza e l’uso della pistola». Giuseppe Iovine, che è indagato per associazione camorristica, ora è aggregato all’ufficio tecnico e fa il custode aggiunto al cimitero comunale. «I fatti contestati – aggiunge Martinelli – risalgono alla fine del 2004, la mia amministrazione si era appena insediata». «Della posizione di Giuseppe Iovine e di altri impiegati comunali nella sua stessa situazione, assunti negli anni Ottanta – replica Angelo Reccia, sindaco nella passata amministrazione – parlammo a lungo con vari prefetti, ma la legge non ci consentiva il licenziamento. Per quanto possibile, li abbiamo tenuti sotto controllo». Martinelli dice che per decidere della sorte dei sette vigili indagati aspetterà i consigli della prefettura. E affida la vita della sua amministrazione all’ufficio di governo. La relazione della commissione di accesso, che ha indagato sugli atti del Comune fino al maggio scorso, non è stata ancora depositata. L’affare dei vigili collusi non gli sarà di aiuto, anche perché di questa storia si è parlato ieri mattina in commissione antimafia, ed è stato – lo scandalo dell’altro giorno – una delle tante tessere che compongono il mosaico di cui è fatta la vita camorristica di Antonio Iovine e dei suoi uomini. Per esempio: la storia del consigliere comunale che faceva da autista, alla moglie di Peppe Russo, pezzo da novanta a quel tempo latitante. O quell’altra, dei fascicoli riservati su appalti e condizionamenti che compaiono e scompaiono, che in prefettura non arrivano, che alla Procura antimafia non vengono trasmessi. O ancora, delle compiacenze diffuse tra chi indossa la divisa. Nella stazione dei carabinieri gli uomini resistono pochissimo: c’è chi chiede di andare via e chi viene mandato via d’imperio, dall’oggi al domani, dai superiori, come i due uomini del Radiomobile che appena un paio di mesi fa avevano cercato di evitare una contravvenzione al figlio di Antonio Iovine. Il Comune, che già una volta era stato sciolto per condizionamenti mafiosi, aveva avuto il fratello di Bardellino come sindaco e il nipote di Mario Iovine (il boss che fu ammazzato a Cascais), Vitantonio, come assessore ai lavori pubblici. Residui tossici mai eliminati. Altri tempi, ma il clima non è cambiato. Anzi, è diventato rovente. Tornano anche le armi, nelle strade di San Cipriano, come quelle sequestrate ieri mattina in casa di Francesco Cecoro, piccoli precedenti nel fascicolo ma una pistola calibro 38 e un mitragliatore di marca americana nel ripostiglio. Aria di guerra, come quella che si è respirata ancora ieri in Tribunale, a Santa Maria Capua Vetere, dove era atteso il controesame di Mimì Bidognetti, nuovo pentito, e dove invece ha preso la parola il cugino imputato di estorsione, Francesco Bidognetti, con Schiavone-Sandokan capo storico dei Casalesi. Dichiarazioni spontanee e inquietanti, la risposta al parente che appena otto giorni fa aveva detto di essersi pentito perché temeva per la vita dei figli: «Anche noi abbiamo i figli». Un anno fa, di questi tempi, qualcuno andò a sparare contro il portone di casa Iovine, in via delle Rose: fori frettolosamente ricoperti perché non era bello, né utile alle strategie di camorra, far sapere che c’era qualcuno che aveva osato tanto, che aveva pubblicamente fatto sapere che la solida alleanza di cartello tanto solida non era più. Un anno fa, di questi tempi, la famiglia Zagaria scalpitava e chiedeva la testa di chi li aveva impoveriti. E si progettava l’attentato a un magistrato, Raffaele Cantone, che tanto vicino all’arresto di Michele Zagaria, e di Antonio Iovine, era arrivato. Oggi quel progetto è tornato in evidenza, come lo scontro tra falchi e colombe divisi solo sui tempi della vendetta: dopo le sentenze, dicono i moderati. Dopo le sentenze definitive di processi. Come Spartacus, che in appello non è partito mai.

Il Mattino, sabato 29.09.07(ROSARIA CAPACCHIONE)

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