Camorra. Mi diceva: tu vai avanti

di Redazione

Omicidio ImposimatoFerdinando Imposimato ricorda il 1983 come un anno terribile. Ricorda il principale processo, quello sulla Banda della Magliana, ricorda il deposito della prima e seconda sentenza del caso Moro e i processi di mafia. Uno dei tanti lo ha portato ad indagare sulla morte di Domenico Balducci, pregiudicato romano associato ai siciliani di Porta Nuova, ad un passo dalla scoperta del mafioso Pippo Calò, nascosto a Roma sotto il falso nome di Don Mario Aglialoro o Salamandra.

LubranoA causa di quella indagine, secondo la Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, i siciliani decretano l’uccisione del fratello del giudice istruttore usando il loro braccio armato campano. La prima cosa che Imposimato dice è: «Ogni delitto si ritorce sul suo autore, le pene si scontano in terra». Vincenzo Lubrano, infatti, non è morto da uomo libero «così come Lorenzo Nuvoletta, morto in carcere da ergastolano», spiega. Quasi una maledizione lanciata sul braccio di Cosa Nostra in Campania. Nel 1983 il referente di Calò che chiede la testa del magistrato è Lorenzo Nuvoletta: «Io, all’epoca, ero inavvicinabile», spiega Imposimato «viaggiavo con una pistola Walter 28 special. Era praticamente impossibile uccidermi». Per questo viene scelto Franco. Nuvoletta accoglie la proposta di Pippo Calò e gira il compito a Vincenzo Lubrano che, a sua volta, incarica Tonino Abbate e Raffaele Ligato di eseguire il mandato. Franco Imposimato viveva a Maddaloni con la sua famiglia, aveva un lavoro nella Face Standard ed era un artista. Il giudice descrive Franco come un uomo buono e dolce. Nel 1983 faceva parte del «Gruppo Archeologico Galatino», disegnava, catalogava i reperti archeologici, aveva una grande passione per i monti che circondavano Maddaloni e portava in tasca la tessera del Pci. Si occupava anche di attività ricreativa in fabbrica. Nei mesi prima della sua morte la moglie aveva scoperto che qualcuno aveva chiesto informazioni sul marito: prima da un carrozziere vicino casa; poi, davanti alla fabbrica degli uomini a bordo di una Bmw. Sull’agenda di Franco, dopo la sua morte, viene ritrovato dagli inquirenti solo un appunto: «Bmw blu». A Roma, intanto, Ferdinando Imposimato, continuava ad investigare sulla Banda della Magliana: «Io non sapevo ancora che stavo indagando sulla Magliana», dice il giudice «ma capii subito che mio fratello era in pericolo». Imposimato, a raccontare quanto vissuto, sembra quasi che si commuova. Spiega che dopo le prime avvisaglie, a suo fratello viene assegnata una scorta, ma Franco se ne vergogna: «Io non ho fatto niente», diceva a Ferdinando. Che, a ventiquattro anni di distanza, ricorda: «Mi diceva sempre: tu, però, va avanti, non fermarti mai». Franco viene ucciso l’11 ottobre 1983. La moglie rimane ferita gravemente. A Roma arriva subito la telefonata che annuncia quanto accaduto. Il giorno dopo nella sede napoletana dell’Ansa giunge una telefonata anonima: «È stato ucciso il fratello del giudice boia». Qualcuno pensa alle Brigate Rosse, ma, forse, è solo un tentativo di depistaggio. Secondo la sentenza del maggio 2000, il siciliano Pippo Calò è il mandante dell’omicidio. Dopo vent’anni Imposimato è certo sugli intrecci ancora forti tra mafia siciliana e camorra: «I legami tra mafia e camorra si sono mimetizzati, sono meno percepibili, ma sono molto forti e solidi. Di questi casi se ne occupano isolati combattenti magistrati, penso a Franco Roberti, a Raffaele Cantone».

Il Mattino (MARILÙ MUSTO)

E Nuvoletta parlò con Bardellino

Antonio BardellinoLa mano che ha ucciso Franco Imposimato è quella della camorra casalese sostenuta da alleanze romane (vedi la banda della Magliana) e siciliane. Non è un caso che dalla confessione di Carmine Schiavone si è aperto il processo sulla morte del fratello del giudice a Santa Maria Capua Vetere. Ferdinando Imposimato: a Roma, infatti, stava scoprendo la vera identità di Don Mario Algialoro ancor prima che Giovanni Falcone prendesse a verbale le dichiarazioni di Tommaso Buscetta. In qualche modo il giudice doveva essere fermato. Il mafioso Antonio Mancini, disse al giudice Otello Lupacchini che verso la fine del 1979 in un vertice si discusse dell’attentato al giudice. Poi, improvvisamente, si scelse il fratello facendo leva sui casalesi. All’epoca dei fatti i rapporti tra Antonio Bardellino e Aniello Nuvoletta erano ancora buoni perché i due si sono visti a Lugano proprio in quel periodo. La camorra fece un favore ai siciliani, ma anche a loro stessi perché Franco Imposimato si batteva contro il deturpamento delle cave di Maddaloni, un business da miliardi di lire.

Il Mattino

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