Le radio napoletane e il famoso “abbraccio circolare”

di Redazione

 Era il 1983. Dall’inizio dell’anno, in Italia e nel mondo, era già accaduto di tutto. Il primo gennaio nasceva Internet, il 19 la Fiat presentava la Uno, il 15 maggio veniva messo in vendita il primo Compact Disc, il 17 giugno veniva arrestato Enzo Tortora, il 22 scompariva in circostanze misteriose Manuela Orlandi,…

…il 27 luglio Madonna pubblicava il suo primo L.P., il 29 veniva assassinato il magistrato Rocco Chinnici, il 4 agosto Craxi formava il nuovo governo.

In Campania, invece, gli avvenimenti ed i problemi erano quelli di sempre. La disoccupazione dilagante, l’immondizia per le strade, le rapine a mano armata e gli omicidi di camorra; tutto regolare, insomma. Alle due del mattino del 7 ottobre, però, accadde qualcosa destinato a cambiare per sempre la vita di migliaia di cittadini campani. I diagrammi della S.I.P. (unico gestore telefonico dell’epoca) segnalarono un’improvvisa ed inspiegabile impennata di chiamate. Alle tre, alle quattro ed alle sei di quello stesso giorno lo strano evento si verificò di nuovo. Cosa diavolo stava succedendo? Semplice: un pazzo fanatico, seguace di una pseudo setta religiosa, approfittando del fatto che, già da mesi, miriadi di piccole scosse di terremoto terrorizzavano la popolazione, aveva telefonato a dei numeri a casaccio annunciando un’imminente eruzione vulcanica. La telefonata nel cuore della notte, naturalmente, aveva scosso gli animi di chi era già sotto pressione da tempo e tutti avevano, all’istante, iniziato a tempestare di telefonate parenti ed amici per avvisarli dell’imminente pericolo. La cosa incredibile è che ben 500.000 persone passarono quella notte all’addiaccio.

Grazie al meccanismo del passaparola e complice la paura, le strade s’intasarono di macchine. Il rumore del traffico unito al suono dei clacson fece svegliare anche quei pochi che, all’oscuro di tutto, stavano ancora dormendo. Il caos al Vomero, ai Camaldoli, a Soccavo, a Pianura, a Fuorigrotta, ad Agnano, a Bagnoli e a Pozzuoli divenne simile a quello, creatosi tre anni prima, durante il terremoto del 1980. Anche in questo caso ci furono vittime: una dozzina, tutte causate dalle conseguenze derivanti da infarti lasciati senza soccorso per colpa dell’intasamento delle strade.

Le Radio Private napoletane, quel giorno, svolsero un ruolo importantissimo informando e rincuorando i propri ascoltatori. Le interviste rilasciate dai Professori Universitari, dai Responsabili dell’Osservatorio Vesuviano e dai rappresentanti delle Forze dell’Ordine, lentamente, calmarono gli animi ed in tempi relativamente brevi quasi tutti ritornarono nelle loro case. Altre volte, le cosiddette Radio “napoletane”, quelle che trasmettevano a tutte le ore del giorno e della notte “canzoni e dediche”, avevano dimostrato tutta la loro indiscussa capacità di penetrazione in un tessuto sociale difficile e complicato come quello napoletano.

Le Radio “napoletane” erano definite così non perché si trovassero a Napoli o nella sua provincia, ma per il tipo di musica che trasmettevano. All’epoca, infatti, ancora non era stato coniato il termine “neomelodico”. Ma torniamo a quello che accadde nei giorni successivi al 7 ottobre 1983. Il lento sollevarsi e abbassarsi della superficie del terreno, il cosiddetto bradisisma, aveva da sempre caratterizzato il territorio dei Campi Flegrei. Già nel 1970, una crescita improvvisa del terreno aveva costretto le autorità ad evacuare il Rione Terra di Pozzuoli. Nel 1980 il fenomeno era riesploso con un’intensità maggiore rispetto a quella del 1970, tanto che gli scienziati iniziarono seriamente a considerare come possibile una catastrofica eruzione vulcanica. Le autorità dell’epoca, nel dubbio, decisero di evacuare l’intero centro antico di Pozzuoli. Molti, però, pur non abitando nelle zone considerate a rischio si allontanarono volontariamente, per paura o perché allettati dal miraggio d’eventuali risarcimenti dello Stato. L’esodo che ne conseguì portò migliaia e migliaia di persone a stabilirsi lungo tutto il litorale domitio. Le seconde case e le strutture alberghiere furono quasi tutte requisite e “assegnate” a chi era stato costretto a lasciare le zone interessate dal fenomeno bradisismico. Ad un certo punto s’iniziò anche a parlare di spostare l’intera città di Pozzuoli in una zona più sicura trasformando l’antica città, dopo opportuni scavi archeologici, in una specie di nuova Pompei o Ercolano. Comunque si era alla fine del 1983 è il fenomeno non accennava a placarsi. Anche le scuole furono spostate nel Villaggio Coppola – Pinetamare. Furono riorganizzati i trasporti pubblici per collegare Pinetamare, Ischitella, Baia Verde ecc. con tutta la zona flegrea. La decisione obbligata di spostare un così gran numero di cittadini, purtroppo, creò un’alterazione profonda nel tessuto sociale. Alterazione che si accentuò in maniera drammatica, quando fu decisa la ricostruzione dell’intera città di Pozzuoli a Monterusciello. Una zona certamente più sicura, con migliaia di case, tutte uguali tra loro, costruite apposta per ospitare un gran numero di persone ma lontana dallo stile della vecchia città. Fu proprio quest’ultimo aspetto a creare i problemi più gravi. Chi si era ritrovato all’improvviso ad abitare in un quartiere dormitorio, completamente diverso dal Rione Terra o dall’antico Centro Storico di Pozzuoli, con amici e parenti distribuiti in un’area immensa, aveva perso completamente i contatti con la vita precedente. I provvedimenti d’evacuazione e di ricollocazione degli abitanti erano stati predisposti con un’assoluta mancanza di conoscenza e di rispetto per il modo di vivere di quella popolazione.

Il rapporto quotidiano tra la gente costretta a vivere in vicoli stretti, il modo stesso di costruire le case abbarbicate l’una alle altre, creava, di fatto, una comunità con forti legami. Il senso di reciproca solidarietà, di complicità e d’interdipendenza gli uni dagli altri era elevatissimo. Con il bradisismo tutto questo era stato completamente distrutto. Il trasferimento forzato, pur tra le comprensibili difficoltà, era stato progettato in maniera molto approssimativa. I cittadini, poi, non avevano avuto neanche la possibilità di condividere le scelte urbanistiche e abitative che li riguardavano direttamente e questo aveva creato seri problemi d’adattamento. Per fortuna, però, esistevano le radio “napoletane”. Ebbero un ruolo decisivo nell’alleviare il senso di solitudine e di disorientamento della popolazione. Ricrearono una sorte di “vicolo virtuale” dove tutti erano in contatto con tutti. Con il versamento di una piccola quota associativa mensile di cinquemila lire o, a volte, anche gratis ci si poteva “abbonare alle dediche”.

Il meccanismo era piuttosto semplice. Si telefonava alla radio e si elencavano tutte, ma proprio tutte, le persone alle quali, ad una determinata ora del giorno, si doveva dedicare una canzone e fare un saluto. Chi era inserito nella lista e riceveva il “pensiero” ovviamente ricambiava. Così facendo con una telefonata ed al massimo con cinquemila lire il mese si poteva comunicare, ogni giorno, direttamente con centinaia e centinaia di persone. Il “servizio” naturalmente comprendeva anche una particolareggiata descrizione dei nuclei familiari: “Gigino ‘o verdummaro saluta la moglie Concetta; i figli Ciro, Mariarca e Gennaro, la cognata Giuseppina, il cognato Alduccio detto o’pisellone e i figli Peppino, Mariarca la piccola e Ciruzzo ‘o cacasotto”. (la telefonata è vera, l’ho “riesumata” da una registrazione originale del 1984). Dal livello di confidenza espresso nei saluti si poteva evincere anche il tipo di rapporto interfamiliare esistente tra i “salutati”. Con i semplici conoscenti si usava l’espressione “Con una stretta di mano”, con chi si aveva più “amicizia” si usavano frasi come “Con una forte stretta di mano”; agli amici di vecchia data e ai parenti stretti si riservava l’espressione “Un abbraccio circolare, un bacio ed una forte stretta di mano”; se si voleva in un colpo solo salutare l’intero quartiere si usava il famoso “Un abbraccio circolare a tutta la fascia d’ascolto”. Naturalmente non mancavano gli aspetti di comicità involontaria: (da una registazione originale del novembre 1985) “Un saluto a tutta la fascia d’ascolto ed in particolare ai carcerati, alle loro mogli ed ai rispettivi consorti…”. Comunque, scherzi a parte, dal punto di vista dell’utilità sociale il servizio di “abbonamento alle dediche” risolse parecchi problemi. Chi era abituato a vivere a pochi metri di distanza da amici e parenti e si era ritrovato, invece, a vivere lontano chilometri, per non perdere i contatti aveva un solo mezzo: il telefono. Il telefono, però, costava. Gli orari di lavoro, l’ora di pranzo e di cena non erano uguali per tutti. Le abitudini erano cambiate. Le radio “napoletane” con la trovata geniale de ”l’elenco dei saluti” avevano ricostruito un minimo di vita sociale. Tra le altre cose, per favorire i contatti, ogni due/tre mesi, le radio organizzavano i famosi “raduni”. Queste manifestazioni, aperte a tutti gli ascoltatori, si svolgevano sempre in “rinomati” ristoranti della zona vesuviana, dell’area costiera che andava da Portici a Sorrento o, a volte, lungo la stessa Domitiana.

Con i raduni si soddisfacevano tutta una serie d’esigenze:

1. I cantanti “napoletani” alle prime armi si facevano conoscere ad un vasto pubblico di radioascoltatori in quanto, per mesi, lo spot che annunciava il raduno, era mandato in onda decine di volte il giorno. Lo spot, oltre a comprendere tutti i nomi dei cantanti riportava, pietanza per pietanza, l’intero menù della serata.

2.I cantanti “napoletani” famosi rafforzavano la loro fama e si facevano conoscere di persona da chi, li avebbe potuto, in futuro, ingaggiare per uno dei classici “matrimonio con cantanti napoletani”;

3. I partecipanti al raduno avevano l’occasione per rincontrare amici e parenti che non vedevano da alcuni mesi;

4. La radio rafforzava la propria immagine, il pubblico era ulteriormente fidelizzato ed il cospicuo incasso della serata serviva a rimpinguare le esigue finanze dell’emittente.

Anche la scelta dei cantanti da abbinare alla dedica aveva la sua importanza. Se l’abbonato era un semplice operaio, un piccolo artigiano, un impiegato si abbinava un cantante “emergente” o di secondo livello, viceversa se l’abbonato era un piccolo boss o un ricco imprenditore si mandava in onda il cantante in voga in quel momento. L’utilizzo delle liste dei saluti permetteva anche un’altra cosa: venire a conoscenza, quasi in tempo reale, di litigi, torti subiti da questo o da quello ecc. Se il giorno prima, per esempio, alle dieci, Ciruzzo aveva salutato la fidanzata Concetta ed il giorno dopo, alla stessa ora ciò non era avvenuto, si era sicuri al cento per cento che i due avessero litigato. Anche il boss che non salutava più l’amico (fuori o dentro il carcere) faceva capire che alcuni equilibri erano mutati. Anche se l’abbonamento alle dediche, a prima vista, può essere recepito come semplice folklore.

L’invenzione di un popolo con molta fantasia. Vi assicuro, invece, che all’epoca dei fatti era una cosa molto seria. I tecnici, dietro i loro mixer, facevano molta ma molta attenzione a non commettere errori. Guai a saltare un nome, a ritardare una dedica o, peggio ancora, a mettere un cantante per un altro. Nella migliore delle ipotesi si veniva cacciati dall’emittente. Un discorso a parte meriterebbero, poi, i dischi. A quei tempi, pensate, a Piazza Garibaldi, accanto alla Stazione delle FF.SS. esisteva una sala d’incisione dove per poche centinaia di migliaia di lire ognuno poteva “prodursi” il proprio 45 giri.

Molti disoccupati dell’epoca, diventati cantanti per fame, sono, poi, assurti agli onori della cronaca salendo sui palcoscenici d’importanti manifestazioni canore a livello nazionale ed internazionale (non fatemi fare i nomi, per carità). Tanto era “elevata” la qualità artistica di tali lavori che accanto alla sala d’incisione aprì un negozio che vendeva i dischi “a peso”. Per dare un’idea del seguito dei cantanti “napoletani” di allora vi basti pensare che quel negozio vendeva qualcosa come trecento chili di 45 giri ogni giorno. In conclusione, si può tranquillamente affermare che le radio “napoletane” rivestirono un importante ruolo sociale, aiutando molte persone ad “appropriarsi” dei luoghi in cui erano state costrette a vivere.

Luoghi sentiti estranei e provvisori che, grazie alle radio, divennero accoglienti e familiari. Luoghi dove, tutti i giorni, si potevano ricevere notizie riguardanti parenti, amici e semplici conoscenti. Luoghi ove con poche lire ci si poteva mettere in contatto con migliaia di persone e sentirsi di nuovo “a casa”.

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