IACP Caserta: Scalera risponde al Presidente Iodice

di Redazione

IACPCASERTA. Appare doveroso fare alcune considerazioni, anche in riferimento al vociare politico di questi tempi e alla dichiarazione del Presidente degli IACP Carmine Iodice:non riceviamo dal 1998 più finanziamenti dalla regione e le nostre case sono decisamente popolari in quanto gli inquilini fanno in modo di rientrare nella fascia di reddito più bassa e l’Istituto Autonomo Case Popolari di Caserta diventa così più un Ente di beneficenza che di servizio”.

In Provincia di Caserta, un tempo terra di lavoro, appare evidente che il timido aumento del tasso di sviluppo è in buona parte dovuto all’apporto dei lavoratori dipendenti, al lavoro sottopagato e sottotutelato dei giovani e delle donne, ai sacrifici sopportati dai pensionati,( molti dei quali a causa delle basse pensioni sono costretti a rinunciare anche a consumi essenziali); al ruolo di supplenza svolto dalle famiglie nei confronti di un welfare ancora troppo distante dagli standard medi del resto dell’Europa più sviluppata, a cui ci vantiamo di appartenere. La posizione dalla quale mi è dato guardare la società, mostra un’Italia, in cui olte famiglie versano in condizione di vera e propria sofferenza a causa dell’inusitata crisi abitativa che colpisce una parte del Paese ed in particolare la Provincia di Caserta. Mi permetto di somministrarvi alcuni dati per meglio far comprendere di cosa sto parlando, sono ricavati da Banca d’Italia, ISTAT, CENSIS ed Eurostat.

In Italia il 72% della popolazione vive in casa di proprietà;

il 9% in usufrutto, in comodato gratuito o in cooperative a proprietà indivisa;

il 19%, cioè 4,3 milioni di famiglie vivono in abitazioni principali costituite da case in affitto;

il 75% dei nuclei che risiedono in affitto ha un reddito annuo inferiore a € 20.000, il 50% spende oltre il 35% del reddito per l’affitto e il 25% destina alla pigione più del 50% delle entrate.

Dal 2001 al 2006 1,3 milioni di famiglie hanno acquistato casa indebitandosi per un periodo superiore a 25 anni, con importi che superano il 30 % del reddito. Oltre il 70% degli sfratti sono motivati dalla morosità dell’inquilino. Nel 2000 sono state presentate 42.803 domande di Fondo sostegno all’affitto, a fronte di 361,5 milioni di euro stanziati dallo Stato, nel 2006 106.105 domande e 210,9 milioni di euro. Dal 2001 al 2004 il numero delle famiglie anagrafiche è aumentato di 1,5 milioni. I giovani tra 25 e 34 anni sono 8,4 milioni di cui il 40% vive con i genitori. Gli immigrati regolari sono oltre 3 milioni suddivisi in circa 900.000 nuclei famigliari. Nel 2006 il 5,4% dei mutui casa sono stati contestati dalle banche per inadempienza dei debitori e nel 2007 si assiste ad un sensibile aumento dei protesti.Nel bilancio dello Stato (al netto dei contributi ex GESCAL aboliti dal 1998) il capitolo politiche abitative, da almeno venti anni segna mediamente zero o zero virgola due, a secondo dell’Istituto che fornisce i dati.

L’ultimo documento sulla spesa sociale diffuso dall’Ufficio Studi confederale conferma in modo eclatante le nostre affermazioni, basta guardare lo zero, che si staglia tondo sulla colonna della spesa pubblica sulla casa. Anche se breve e schematico, dal quadro descritto affiora la dura realtà, cioè che la condizione abitativa influisce pesantemente sulle condizioni materiali delle famiglie e chi è stato costretto all’acquisto della casa dagli alti prezzi della locazione si è indebitato sacrificando consumi primari quali la tutela della salute e l’educazione dei figli; chi è più povero e non è in grado di fornire le seppur minime garanzie alle banche resta ad abitare in affitto, o assegnatario di case IACP. Si parla molto e, spesso, a sproposito della famiglia e della bassa natalità italiana, proviamo a rispondere al seguente quesito: – come può una coppia di giovani progettare di mettere al mondo dei figli, se, con un reddito in molti casi precario, deve far fronte al costo casa, alla pensione integrativa, al riscatto previdenziale del corso di laurea, ai costi dei servizi per l’infanzia (quando sono disponibili), alla propria formazione e a quella dei figli? Un’offerta abitativa pubblica ad affitto sopportabile risolverebbe molti problemi, rimandando l’acquisto della casa a situazione lavorativa e reddituale stabilizzata. L’incompatibilità tra costo dei fitti e reddito disponibile, blocca l’emancipazione dei giovani dalle famiglie d’origine, rende complicata la mobilità sul territorio per ragioni di lavoro e di studio. In tutti i paesi occidentali la mobilità e la flessibilità non il precariato, sono elemento di sviluppo delle generazioni in età creativa. Oltre ai giovani e al loro futuro, gli alti costi abitativi rendono precarie anche situazioni sempre più diffuse nel nostro Paese, si pensi alle crisi famigliari e ai costi abitativi ingenerati dalle separazioni. Un conto è farvi fronte con due redditi e una casa sola, quando, a parità di reddito, le case da pagare diventano due le cose cambiano sostanzialmente.

Inoltre sono da considerare:

-la condizione abitativa degli anziani, che spesso abitano in case troppo grandi e dispendiose e in molti casi non adatte alle situazioni di difficile deambulazione. Se poi capita lo da sfratto, oltre ai costi, diventa insopportabile lo sradicamento dai luoghi in cui hanno vissuto;

-le famiglie monoreddito con figli indotte all’indebitamento con le finanziarie per affrontare la quotidiana spesa corrente, immaginiamoci come si possano porre di fronte ad imprevisti come il rinnovo del contratto d’affitto;

-gli immigrati, che oltre ai problemi di costo si trovano alle prese con i ricatti per ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, alle difficoltà dei ricongiungimenti famigliari per cui serve un’abitazione dalle caratteristiche stabilite dalla legge;

– la condizione delle periferie urbane, specie delle città metropolitane, in cui si coniugano fenomeni di marginalità e di esclusione sociale con problemi di sicurezza e di assenza di servizi adeguati.

La questione abitativa è un tema di rilevante importanza economico sociale e tutto il Sindacato e la classe politica dovrebbe assumerlo come elemento essenziale di welfare.

Il SICET/CISL, sia a livello nazionale, sia nelle articolazioni regionali e territoriali sta sviluppando uno sforzo politico importante, affinché Stato, Regioni e Comuni mettano in campo strategie e risorse adeguate ad un disegno riformatore sulla base del Protocollo, sottoscritto il 29 maggio scorso, al Tavolo di concertazione governativo sulla politica abitativa. Il SICET, con gli altri Sindacati degli inquilini è impegnato in una lotta impari per salvaguardare dalla speculazione spazi di socialità pubblica, di cui la condizione abitativa costituisce uno degli elementi discriminanti nel determinare livelli di relativo benessere o di estrema povertà.Certamente i dati della Corte dei Conti che si riferiscono al 2003 riferiti ai canoni mensili minimi sono i più bassi d’Italia ciò diventa un campanello d’allarme in quanto significa che il nostro territorio, un tempo terra di lavoro, è tra i più poveri del paese per cui e necessario percorrere nuove strade in grado di far fronte al fabbisogno abitativo delle famiglie a reddito basso o senza reddito.

CARLO SCALERA SEGRETARIO PROVINCIALE SICET/CISL

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