Il Calcio si ferma dopo la tragedia di Catania

di Antonio Taglialatela

Gli scontri di ieri seraDoveva essere per la Sicilia una giornata di festa il derby di ieri sera allo stadio “Massimino” tra il Catania e il Palermo. E invece è finito in tragedia con scontri tra Polizia e tifosi, ma soprattutto con la morte dell’ispettore capo Filippo Raciti, 38 anni, ucciso in un vero e proprio agguato nel bel mezzo di una guerriglia urbana scatenata dagli ultras catanesi.

scontri tifosi-poliziottiOltre alla morte del poliziotto, avvenuta per l’inalazione dei fumi di una bomba carta lanciata nell’auto di servizio in cui si trovava, vi sono anche un centinaio di feriti ma nessuno in condizioni gravi. Un attacco premeditato contro la Polizia? Non lo sappiamo. Al momento, sta di fattoche il calcio italiano si ferma. Tutto il calcio italiano, dalla serie A ai dilettanti, settore appena macchiato dal sangue di un dirigente calabrese, Ermanno Licursi, ucciso nel corso di altri episodi di violenza cieca e assurda e ricordato ieri sera all’inizio del derby di Catania con un minuto di silenzio macchiato da squallide interruzioni. La decisione, clamorosa e tempestiva, porta la firma del commissario straordinario della Federcalcio avvocato Luca Pancalli. L’annuncio-choc matura dopo le ore 22 quando ormai le immagini allucinanti della battaglia tra polizia e tifosi, dentro e fuori lo stadio di Catania, su un campo di guerriglia urbana, fanno il giro delle televisioni e la notizia drammatica della morte del poliziotto piomba come un macigno sul cuore della gente e sul futuro del calcio italiano. “È una decisione sofferta ma indispensabile, senza misure drastiche non si riparte. Una giornata non può bastare. Serve dell’altro. E lo decideremo in una riunione con Prodi e i ministri Amato e Melandri da organizzare lunedì”, è stato il commento di Pancaldi. Il derby siciliano era stato anticipato a ieri pomeriggio per motivi legati all’ordine pubblico, questo il tragico paradosso. Per evitare che si sovrapponesse ai festeggiamenti di Sant’Agata, patrona della città di scontri tifosi-poliziottiCatania. Città ugualmente in stato d’assedio. I pullman dei tifosi palermitani sono arrivati allo stadio a secondo tempo iniziato. Era stato studiato un percorso alternativo per schivare eventuali imboscate. La partita è stata sospesa per 40 minuti per lancio di fumogeni, razzi, lacrimogeni, poi è ripresa (sempre per motivi di ordine pubblico, per scongiurare scontri). Le immagini di guerriglia sono continuate, sui teleschermi, ben oltre la fine della partita. Nel solito rituale del dopopartita, il solito scaricabarile: per i dirigenti del Catania è tutta colpa dei palermitani, per quelli del Palermo tutta colpa dei catanesi.

Questa non è la prima volta che il calcio si ferma, per una settimana, nella corsa cieca verso il dirupo. Accadde già nel campionato del ’95 e allora a far da esca al provvedimento fu l’omicidio di Vincenzo Spagnolo, un tifoso del Genoa, ucciso con una coltellata nel fianco, ai margini di una partita, Genoa-Milan, sospesa nel secondo tempo per effetto del panico provocato dalla pubblicità della notizia giunta nella curva del grifone. Dodici anni dopo, il calcio italiano ritorna a mettersi il lutto al braccio e a fare i conti con la follia collettiva che contamina una città, Catania, e una regione, avvelenata dalla rivalità calcistica invece che risultarne promossa.

la moglie del poliziotto mortoNon è più accettabile che un gioco, sia pure vissuto con passione, comporti scene da guerriglia urbana. Sabato scorso, come dicevamo all’inizio, in Calabria due giocatori hanno ammazzato a calci un dirigente che faceva da paciere. Ieri a Catania un poliziotto ci ha lasciato la pelle. Sarà bene smetterla di pensare agli stadi del 2012 e occuparsi molto in fretta e sul serio di quelli attuali e dei barbari che li frequentano. Sarà bene evitare, per un po’, di intonare il ritornello delle “famiglie da riportare negli stadi”. Ma a fare che? E anche quello degli “stadi che si svuotano”: è giusto, visto che sono tra i più rischiosi e, nonostante questo, più cari d’Europa. Negli stadi ci va solo chi vuol farsi vedere allo stadio perché porta voti, i politici con le loro scorte, e la carne da curva: manovrabile, affittabile, multiuso. Non tutte le curve e non tutti gli stadi sono uguali, ma quella cultura sportiva che s’invoca come antiveleno è tragicamente latitante. E’ questa cultura la vera diffidata a entrare in uno stadio. Come diceva oggi Mura su Repubblica, discutiamo su chi dovrebbe fornirla alle giovani generazioni: la famiglie, la scuola, i mezzi d’informazione, tutti quanti insieme? Ma non nascondiamoci le realtà esterne: la fredda Inghilterra, la calda Spagna, i loro stadi dove pure è importante vincere o perdere, ma tra il prato e il pubblico c’è un muretto di mezzo metro. Dice: ma in Inghilterra per tamponare gli hooligans si sono varate leggi adatte. Bene, si facciano anche qui, pure se in molti casi basterebbe applicare come si deve quelle già esistenti. In particolare, il Decreto Pisanu: di chi va a vedere la partita si sa o si dovrebbe sapere tutto: nome, cognome, indirizzo. Tutti sono o dovrebbero essere schedati. Perché invece finora non è cambiato niente? La risposta può essere: perché quelle poche regole esistenti non vengono fatte rispettare. Esempio, i biglietti nominativi, una delle principali misure introdotte dal decreto Pisanu, si sono rivelati una misura contraddittoria, giacchè negli stadi la parte più focosa e potenzialmente violenta del tifo è presente su gradinate senza numerazione o con una numerazione non rispettata dai presenti che si accalcano in piedi, rendendo impossibile una loro identificazione.

poliziotti scioccati dopo gli scontriDicevamo dell’Inghilterra, dove si è sperimentato un modello capace di ottenere clamorosi risultati, partendo da realtà di tifoserie forse anche più violente di quelle italiane. Il modello inglese si basa sulla proprietà degli impianti alle società sportive, sulla sua utilizzazione anche per altre finalità ricreative, sportive, commerciali, sulla sicurezza garantita dalle società, sulla eliminazione di ogni barriera tra tifosi e campo di gioco (la trasformazione degli spazi riservati ai tifosi in campi di concentramento, con fili spinati, transenne, reticolati ha forse perfino acuito le tensioni, anzichè placarle). Lì una squadra retrocede e i suoi tifosi l’applaudono. Qui,come accadutoa Parma, aggrediscono i giocatori e gli sfasciano la macchina.
E’ triste ma non casuale che il paese che nel calcio è campione del mondo debba ritrovarsi a piangere morti, a fare minuti di silenzio sviliti dagli applausi, a contare feriti come fosse in guerra. In guerra è come ci fossero, e non da ieri, da troppi anni, quelli che hanno una divisa e rappresentano uno Stato, mandati per quattro soldi a controllare la demenza di gente che più è impunita più si fa forza. Quello Stato che dovrebbe garantire la videosorveglianza, interna ed esterna, negli stadi e che dovrebbe imporre alle società di provvedere alla vigilanza privata delle strutture. Quelle società che dovrebbero smetterla di regalare abbonamenti a tifosi cocainomani e delinquenti soltanto per avere una “rappresentanza” fissa in casa o in trasferta. Che li selezionino i tifosi. Tornerà forse un giorno il calcio, e la domenica della brava gente. È difficile dirlo, dopo ore di fiamme, elicotteri in volo nel fumo, sassaiole, ospedali che traboccano, feriti e un morto. E’ difficile dirlo dopo che a Livorno, fuori la redazione di un quotidiano, appaiono scritte come “Un altro Raciti, ultras liberi” – “2 febbraio 2007, vendetta per Carlo Giuliani” e “morte allo sbirro…”.
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